MIA MAMMA, UN'AMICA

Mia madre non si chiama Anna. Non si chiama Bruna. Non Carla. Mia madre non si chiama Agata. Non ha un cappotto grigio. Mia madre non porta i guanti. Non ha un cappotto nero. Mia madre non porta la sciarpa se non d'inverno. Non ha una giacca arancio come le altre. Non ne possiede nemmeno una celeste. Il nome di mia madre non è nemmeno Bianca. Sul nome da metterle erano incerti tra due, poi se ne scelse un terzo, quello della mia bisnonna. Mia madre ha più di cinquant'anni e ha visto le Brigate Rosse sulle montagne vicino a casa. Ma tutto il mondo è paese.
Mia madre è la migliore tra tutte le madri da me conosciute, anche se io non sono a mia volta la migliore tra le figlie. Non avendo nome Alessandra, le persone e gli animali non la chiamano Sandra. Ho visto in foto la madre di mia madre, che si chiamava Teresa.
Mio padre dice che mia madre ha vissuto due volte. Perchè ha avuto una vita intensa. E' come se avesse fatto due volte tutto quello che ha fatto, e ogni volta in modo diverso. E' come se, invece di due figli, ne avesse fatti quattro. E' come se avesse quattro orecchie. E' come se gli fosse cresciuto il doppio dei capelli che ha. E' come se la sua infelicità e la sua felicità fossero durate quanto l'intera sua vita. Oppure come se, vivendo il doppio degli anni, conoscesse due volte la gente che conosce.  O conoscesse anche la gente che non conosce. Mio nipote le va vicino quando dorme.
Talvolta telefona l'altra metà delle sue amiche. Non le telefonano quasi mai quelle che lei vorrebbe. Quelle, le vede passare in piazza. Allora le ferma. Da come le guarda, credo le vogliano davvero bene. Passano in bicicletta, oppure, la domenica, a piedi. Molte vengono dai paesi vicino al mio. Se passiamo da quelle parti, mia madre mi ferma e mi presenta a questa e a quella.
Sono tutte un pò vecchie, arrivano al paese a fatica, e ancor più a fatica tornano a casa. Di ciascuna mia madre dice qualcosa di bello, ma lo fa quando ormai me ne sono già andata, così riesco a sentire solo le prime parole. Le altre si perdono chissà dove.
Di Maria, questo il suo nome, posso dire cose in successione temporale, oppure parlare delle sue domande, delle sue scarpe. Dell'orlo dei suoi pantaloni. Del suo grande interesse per i particolari.
Mi sembra però, ed è questo il complimento più bello che una figlia possa fare a sua madre, che lei viva tutti i momenti della sua giornata pensando. Così che le sue azioni, discusse e ridiscusse dentro di lei, portano con sè una grande saggezza.
I suoi movimenti, uno più veloce dell'altro, sembrano il compimento di un lunghissimo processo di astrazione.
Più volte, alla sera, ho sorpreso mia madre con gli occhi e tutta la faccia da bambina. Con ancora tutto da imparare.
Sta iniziando la sua terza vita.

Alegra&Bacioni.

Jù.

EVERY TEARDROP IS A WATERFALL

Io piango per le cose più impreviste. Mi commuovo facile. Cerco di resistere ma mi si inumidiscono le ciglia ai matrimoni, anche a quelli dei parenti più lontani, naturalmente ai funerali e, se capito per sbaglio, piango anche alle cerimonie di perfetti sconosciuti. Deve essere la forza del rito studiato appositamente per aprire le cateratte dell'umanità, le mie in particolare.
Sono la cavia prediletta dei film costruiti per farti sciogliere in lacrime esattamente dove è previsto dagli sceneggiatori. Il mio imprinting è stato Dumbo: ho singhiozzato più di una volta per l'elefantino con le orecchie troppo grandi e ancora adesso mi avvicino al dvd con molta precauzione. Ma ho anche rotto gli argini sul finale di Toy Story 3, quando Andy e Woody si salutano per sempre: impossibile resistere.
All'inizio è un piccolo sussulto, solo un nodo alla gola, ma poi se vedo qualcun altro che si commuove accanto a me è la fine e parte l'alluvione. Piango volentieri ogni volta che rivedo Billy Elliot. Non lo faccio solo per Billy e il suo sogno ma anche per tutta la sua vita sfortunata, per le incomprensioni con suo padre, per quell'equivoco che ti cambia la vita con una deviazione fatale.
Quando si piange come fontane è bene farlo da soli, in privato o al massimo con un ristretto gruppo di amici di provata lacrima. Evitate le situazioni pubbliche e gli insolenti che fanno i duri e poi si sciolgono di nascosto per banalità come Love Story.
Non mi vergogno di questa attitudine, anzi, esternando la mia debolezza ho scoperto di non essere sola. C'è un esercito di persone che non desidera altro che lasciarsi andare alla commozione, e anche parecchi uomini oggi confessano tranquillamente di essere soggetti a questa sindrome.
Ogni occasione è buona: si piange a una nascita, leggendo un libro, pensando a un bel ricordo lontano, ma io mi commuovo fino alle lacrime per molto meno. Mi succede alle premiazioni, quando gli attori o i registi ringraziano la famiglia e in particolar modo la moglie, "Senza di lei non sarei mai riuscito a conquistare questo ambìto riconoscimento".
Anche se so benissimo che dietro a questa frase ce n'è una molto più lunga: tra le righe vogliono dire che se non la ringraziano quella li uccide perchè ha sopportato mugugni, giornate nere a fare caffè e panini mentre l'artista ciabattava per casa senza ispirazione.
Io mi commuovo quando riscolto le canzoni beat italiane degli anni Sessanta. Non per i testi ma solo per come suonano i dischi. C'è tutta l'innocenza di una registrazione con pochi microfoni, solchi grossi tracciati sul vinile, fatti per essere scavati come una zappa dalla puntina del giradischi. Lontano mille miglia da ogni sofisticazione contemporanea, che neanche le chiama più canzoni ma tracce "Hai ascoltato la terza traccia?" e già la parola mi fa venire in mente ombre, fantasmi, qualcosa di irreale che può vagare nell'aria o scomparire per sempre. A risentirli oggi i complessi, così si chiamavano i gruppi musicali dell'epoca, fanno tenerezza perchè sembrano arrivare dalla preistoria della musica e mi fa piangere quel desiderio di modernità e futuro che erano sicuri di rappresentare. Invece è andato tutto diversamente da come si immaginavano e cantavano. "Sha-la-la-la-la-la piangi con me, domani forse cambierà, vedrai." Forse, ma anche no, e infatti...sconsigliato vivamente ascoltare le stesse canzoni nei programmi televisivi di revival, interpretate dagli stessi musicisti invecchiati che sono costretti a ricantare all'infinito lo stesso ritornello di quell'estate, incoraggiati dal giovane presentatore abbronzato che sadicamente continua a dirgli che sono rimasti gl stessi. Non è vero, loro lo sanno e il pubblico anche. Qui si piange, ma non di commozione.
Mi succede di struggermi un pò tutte le volte che si spezza il tempo alla fine dell'estate: c'è un giorno preciso in cui si capisce che quella stagione è andata e subdolamente ne parte un'altra. Potrà tornare il bel tempo ancora per molti giorni, ma non sarà più lo stesso. Tutti ancora a fare il bagno, a rosolarsi in spiaggia, ma qualcosa è cambiato per sempre, è finito un momento che non tornerà, perchè la prossima sarà sicuramente un'altra estate e mi viene da piangere senza un motivo reale ma solo per l'idea dei cambiamenti inevitabili, non perchè è brutto ma proprio perchè è bello.
Invece, stranamente, non sopporto i cuccioli di peluche. Fanno tenerezza a tutti ma non a me. Non so perchè ma mi danno ai nervi, e con loro tutte le persone che se li tengono in macchina, sulla scrivania, come portachiavi o addirittura in bella mostra sul letto. Mi verrebbe da sbudellarli con un cacciavite in un film horror. E poi ridere di loro.

Alegra&Bacioni!

Jù.

VORREI DIRVI UN SACCO DI COSE ADESSO

Ho scritto uno di quei blog che non diresti. Infatti il giorno dopo averlo aperto sono stata quasi ricoverata in ospedale. Avevo la febbre a trentanove e un'infezione alle regioni meridionali dello stomaco che mi strappava ululati mannari. Eppure la sera prima stavo benissimo.
Era soltanto l'inizio. Da quel giorno mi sono piovuti addosso i resoconti di alcune vite ammalate, per le quali la farmacia ero io. Pare si chiami empatia. Le persone si specchiano in storie autentiche, apparecchiate a romanzo senza neanche il filtro della vergogna, e si sentono autorizzate a rivelare la loro. Non ai propri cari, ma all'amica di carta in cui riconoscono la compagna di sofferenze e rimonte esistenziali. Ne ho ricevute di ogni genere. Alcune, considerato il tema, persino divertenti. Mi ha scritto un'amica dell'adolescenza: "Anche io come te ho perso la persona con la quale pensavo di passare il resto della mia vita". E mi racconta di quanto gli manchi.
Un'altra mail arrivava da una località di villeggiatura che anni prima era approdata in cronaca nera per l'incendio di un albergo conclusosi con la morte del propietario. L'autore della mail raccontava che quell'uomo era suo padre. Aveva fatto uscire clienti e collaboratori con una scusa, poi aveva dato fuoco alle pareti di legno e si era rifugiato in mansarda ad aspettare la fine. Di lì a pochi mesi anche la madre era morta di crepacuore e il mio amico di carta si era ritrovato da solo in mezzo alle ceneri di una vita intera. Aveva usato i risparmi del padre per ricostruire l'albergo nello stesso luogo in cui sorgeva un tempo. Nell'opera di rinascita, non soltanto edilizia, gli era stata accanto una ragazza. Ma appena l'esistenza aveva ripreso a fluire in modo ordinato, ecco che era comparso Belfagor.
Nel romanzo di Massimo Gramellini Fai bei sogni, Belfagor è il nome che da bambino Massimo da al mostro che abita dentro di noi. Uno spiritaccio animato da buone intenzioni, in realtà pernicioso, perchè pur di tenerci lontano dalla sofferenza ci chiude in una gabbia di paure. Paura di vivere, di amare, di credere nei propri sogni. Il mio interlocutore era stato indotto a scappare dalla sua ragazza. Con la codardia tipica dei maschi quando vogliono sbarazzarsi delle femmine, non aveva avuto la forza di lasciarla. Perciò aveva fatto di tutto per farsi lasciare da lei e, dopo sforzi considerevoli, c'era riuscito.
Quando gli avevano detto del mio blog, aveva tenuto per un mese il link senza aprirlo. Gli incuteva timore. "Ma una notte, mi scriveva alla fine della mail, "una notte in cui rivoltavo nel letto come un pescecane nella rete, accendo la luce e comincio a leggere le tue storie. Sono arrivato al quinto post e ho capito che stavi parlando con me. Fuori aveva cominciato ad albeggiare. Così ho chiuso il blog e, indossata una felpa sopra il pigiama, sono andato sotto le finestre della mia ex. Le ho suonato, lei si è affacciata. Mi vuoi ancora?, ho urlato. Non ha risposto, ma ha aperto il portone".
Con Machissenefrega! ho aperto un portone da cui sono entrate carezze, confessioni e ringraziamenti. Un muretto di gratitudine a cui è dolce appoggiarsi quando fa buio. Perchè da quel portone, oltre alle carezze, è entrato anche qualche ceffone. Era prevedibile. Se alzi il velo sui tuoi tormenti più intimi, ti esponi alle critiche di chi trova insopportabile la sincerità perchè ne teme il contagio. Ma se fin dall'inizio sapevo benissimo a quali rischi mi sarei esposta con questo blog, cosa mi aveva spinto a iniziarlo? Semplice. Quando una ha ricevuto in sorte una storia e gli strumenti per raccontarla, non è giusto che la tenga soltanto per sè. Da molto tempo desideravo ricordare a un pò di persone che la vita ha un senso e che dobbiamo affrontarla "nonostante", senza lasciarci parallizare dai "se". Ma certe prediche sarebbero suonate false in bocca a una centralinista percepita come una privilegiata. Soltanto la confessione spietata delle mie disgrazie e delle mie debolezze avrebbe reso credibile il messaggio, anzi il messaggio di speranza che intendevo dare.
Per non avere più paura di soffrire è indispensabile liberarsi dal dolore. Milioni di persone provano a farlo ogni giorno, prodigandosi in preghiere e buone azioni oppure stordendosi con droghe ed esperienze estreme. Ma i ricordi dolorosi non si possono eliminare. Quello che si può eliminare è il dolore associato ai ricordi.
Oggi riesco a pensare al mio ex fidanzato senza più provare dolore perchè ho accettato intimamente una verità indimostrabile: che tutto ciò che accade è sempre giusto e perfetto. Che il dolore è qualcosa che ci capita addosso non per sfortuna, ma per concederci l'opportunità di conoscere la parte irrisolta di noi. Se da quando nasci a quando muori nella tua vita non è cambiato tutto o almeno qualcosa, significa che la vita non ti è servita a niente.

Bacioni!

TORNO A CASA CON ERICA MOU

Quando qualche tempo fa mi hanno parlato di E' di Erica Mou, ho storto un pò il naso. L'ho tenuto storto per parecchi giorni, e non perchè non mi stesse simpatica o perchè il titolo del suo cd non mi fosse piaciuto, anzi. Il mio naso s'è storto automaticamente proprio per il motivo contrario: perchè succede a volte che sei talmente affascinata, legata, coinvolta con qualcosa o con qualcuno al punto da faticare a parlarne, quasi per non rovinare una magia che stai immaginando, ma che nel silenzio diventa un pò più reale. Poi, di colpo, una sera il mio naso è ritornato dritto: una sera come tante, al tavolino di un bar che conosco fin troppo bene, coccolata da un buon bicchiere di spritz, accanto ad una persona che guardi negli occhi e già sorridi, riuscendo a capire e sentire cosa pensa veramente. Quella sera come tante fai una semplice domanda: "Ti va di venire a sentire Erica Mou insieme a me?", e di fronte a te si apre un mondo, si schiudono confini, si allargano gli argini. Ti trovi immersa in un mare di parole, pensieri, catapultata nella vita di chi ti sta di fronte, mentre nei suoi occhi vedi che questo nome ha toccato una corda che a volte fa, nel bene o nel male, perdere il controllo.
Proprio quella sera come tante, guardando negli occhi quella persona che mi piace, ho capito che se due che si vogliono un bene dell'anima possono parlarne per un tempo indefinito mentre i loro occhi si riflettono nello spritz, questo è stato e continua ad essere "il cd di tutti". Forse allora non dovevo essere io a parlare del cd di Erica, ma dovevo lasciare che gli altri ne parlassero, scoprissero quali vite avesse portato a galla, quanti occhi facesse luccicare, quali paure avesse fatto sparire o riaffiorare. Scoprire il semplice motivo per cui questo cd vale. Così ho passato giorni a fare una delle cose che mi riesce meglio: ascoltare la gente, ed entrare per un attimo nel loro mondo.
E' è il cd di tutti quelli che hanno ascoltato distrattamente la canzoncina di sottofondo dello spot dell'Enel, distrattamente ne sono rimasti incuriositi, e svogliatamente non si aspettavano nulla di più di una sorta di cantilena americaneggiante. Di tutti quelli che hanno scoperto o riscoperto cos'è la sorpresa, di chi si lascia ancora sorprendere da qualcosa. Il libro di quelli che già dalle prime canzoni si rendono conto dove li porterà una musica, ma anche di quelli che se ne accorgono solo una volta che il cd è finito, e ci ripensano dopo. Di chi canta tutto d'un fiato, a volte senza rispettare i respiri, e a volte torna indietro perchè ha perso una strofa. E' di quelli che cantando sono riusciti ad entrare pian piano nelle "viscere della protagonista", di quelli che volevano risolvere a tutti i costi la vigliaccheria della vita, ma nell'adolescenza si sono ritrovati immersi in un malessere, e si sono autobaciati le ferite nelle fasi della propria crescita.
E' è di chi conosce il significato dei vuoti affettivi, di chi li ha toccati con mano, di chi si sente a disagio anche solo ogni tanto e di chi non è proprio sempre consapevole, di se stesso e del mondo. Di chi, prima o dopo averlo ascoltato, ha provato a pensare, mescolando un pò di tenerezza. Il cd di quelli che vivono da troppo tempo in un posto da cui vorrebbero scappare via, anche solo per ritrovare una sorta di sorriso, un riflesso in un bicchiere di tè. Di chi, proprio come Erica, in questo momento della vita si sente un pò a mollo nella vasca da bagno del tempo, e sta accarezzando il significato della parola "ripartire". E' di chi ama la sincerità, le storie semplici, di chi ancora convive con una malinconia e per quella malinconia si sente solo. Di tutti quelli per cui il tempo è un'enorme confusione, e mentre ascoltavano Nella vasca da bagno del tempo hanno chiamato Erica, almeno una volta, "amica mia".
Insieme ad altre persone preziosissime, con Erica la mia vita ha ricominciato a risorgere. Con coraggio e serietà e anche con quella leggerezza da non confondere con superficialità, Erica mi ha fatto capire che per rinascere devi morire, devi celare per difendere, svelare per conoscere, realizzare per crescere, incontrare una Storia e metabolizzarla e raccontarla, perdonare per ricordare, separarsi per vivere, vivere per amare l'Altro da Sè.
Questo è il cd di tutte le persone che l'hanno ascoltato, comprato; di quelli che ascoltandolo e comprandolo hanno continuato ad ascoltare e comprare cd, in un Paese che non ascolta più, che non spende più per la musica, che non vede più nella musica un luogo di cultura, e così si impoverisce e vive nell'ignoranza. E' il cd di quelli che si sono sentiti autorizzati a partecipare emotivamente alla vita di Erica, che ora possono dire di conoscerla da vicino. Di tutti quelli che dopo Nella vasca da bagno del tempo hanno ascoltato è, e magari hanno detto: "meglio l'altra", ma anche il cd di tutti quelli che, per paura, E' non lo ascolteranno mai. Questo è il cd di chi ama la storia della vita, o meglio ama conoscere il modo in cui la vita rappresenta a se stessa la propria storia, che diventa così una narrazione di pensieri ed emozioni. E' di tutti quelli che, come me, hanno sentito la canzone a Sanremo e nel giro di un'ora hanno spulciato su ebay per rincorrere la copia del cd. Di tutti quelli che lo hanno comprato o lo compreranno prima di un viaggio, così da divorarlo nelle ore in treno, in autobus, in aereo. Ma anche di tutti quelli che lo hanno divorato stando fermi, in città o sulla spiaggia, in un letto o sull'ipod, magari cercando il proprio riflesso in un bicchiere di spritz.
E' anche il cd di chi non smette di fare riflessioni e domande.
E' la storia di chi è un pò nostalgico, o ci si è riscoperto ascoltandolo. Per un tempo passato che non ritorna più, per un palloncino che vola in alto.
Questo è il cd di chi lo ha comprato perchè La Jù gliel'ha consigliato vivamente, o di chi sceglie in base a cosa c'è sulla copertina, o di chi compra i cd in base al periodo che sta vivendo, e tra le canzoni cerca le risposte alle domande a cui da solo non riesce a rispondere.
Il cd di tutti quelli che cercano la felicità continuamente, perchè non l'hanno ancora trovata o perchè rimbalzano da una parte all'altra delle loro anime, e magari vivono a momenti. E' il libro di chi dice spesso "è impossibile", ma si lascia affascinare da un piccolo splendido pensiero o da possibilità mai concretizzate. Il cd di chi ripone tutto nell'amore, di chi ci ripone troppo o troppo poco. E' di quelli che seduti al tavolo di un bar si lasciano stare almeno per un'ora, hanno mondi infiniti dentro agli occhi e si riflettono nello spritz.
Questo è il cd di tutti. Di chi torna dal lavoro con il naso un pò più dritto con la voglia di scriverne, e di chi sente caldo mentre scrive, o mentre ne parla. Di tutti quelli che ancora combattono con qualche tipo di dolore, con qualche tipo di vuoto. E' il cd di chi ama sognare, di chi, dopo averlo ascoltato, ha detto almeno una volta a qualcuno di caro "vorrei dirti un sacco di cose adesso", prima di tornare a casa. Il cd di chi sa ascoltare, di chi non sa dire solamente "io,io,io e poi ancora io...", di chi entra nella vita delle persone, a volte per rimanerci e a volte per dire addio, o arrivederci. Di chi ama farsi compagnia e stare accanto a qualcuno ma senza perdere la propria identità. Il cd di chi, seduto al tavolino di un bar, si lascia stare anche solo per un momento, tra il suo riflesso in un bicchiere e due occhi dentro cui vivono altre storie.

Il Solito Enorme Bacione a Tutti.

Jù.