ESCO A FARE DUE PASSI

C'è un momento in cui ti rendi conto che l'esperienza non serve a niente.
A quasi ventisei anni puoi ripercorrere infinite volte la tua carta dei personali sentieri di vita, senza capirci più nulla. Puoi cercare affannosamente una guida "esperta" nei film e nei libri e finire con il dare ragione al protagonista di "Un uomo solo": "
Se sono diventato più saggio? Semmai sono diventato più stupido, anzi divento sempre più stupido, è un fatto.
E ci rimani male perchè non capisci come mai proprio quella strana e poco desiderata saggezza che ti è improvvisamente piombata addosso un pigro martedì sera agisca da balsamo rigenerante in tutti i settori della tua vita.
C'è un momento in cui pensi che le cose sarebbero andate meglio se fin da piccola avessi avuto il coraggio di dirle subito, le cose. Se non ti fossi sentita troppe volte una bugiarda, come alcune persone della tua famiglia.
Danni collaterali: una sentinella interiore che ha intimato l'altolà ogni volta che potevo anche solo lontanamente sentirmi sincera nei confronti dei miei genitori, lasciando spazio ai nì, alle ambiguità. Un altoparlante nelle orecchie che mi urlava : "Ma che diavolo stai combinando?"
Insomma, come sos non era male e per un pò è servito. Ma poi che cosa è successo?
Quel grido d'aiuto è diventato un ronzio di fondo e poi è sparito, e di nuovo sono rimasta lì a perseverare negli stessi errori.
Errori che fanno tutti, mi raccontavo, di quelli che possono capitare. O forse no. Con il kit completo di tutti gli accessori: sensi di colpa, improvvisi senso di vuoto, gigantesco senso di vergogna sociale, graduale senso di stupidità per non aver saputo dirsela tutta e dirsela prima su: vita insieme, famiglia, sesso, bambini, mutui ipotecari, cani e station wagon. E soprattutto per aver lasciato che il prezzo da pagare per entrambe le parti diventasse troppo alto, mentre forse si poteva rateizzare il dolore.
Ci sono momenti come questo in cui non posso non sorridere per essermi affidata alla "cura" della confraternita femminile: della pattuglia rosa, delle amiche, delle cene per sole donne, delle donne che valutano, sanzionano e sfottono un pò. Un rito collettivo, tardo adolescienziale, con battute, risate, film, caramelle, qualche programma in tv.
C'è un momento come questo di questa sera in cui cerco risposte ovunque tranne che dentro di me. La smania, il bisogno di armonia, di perfezione vitale, di incastro preciso, di stima, mi hanno portato a seguire questa strada su cui fare fitte liste di dettagli, le cose che vanno, quelle che non vanno, quelle che mi accomunano a... e quelle che invece ci allontanano, i valori trasmessi. A volte sono costretta a fermarmi come spesso mi succedeva alle superiori con le equazioni di secondo grado.
Mancano un pò di variabili e mi rendo conto che la variabile principale, a volte, sono io.
Ci sono momenti come questo in cui penso che forse avrei potuto fare diversamente e altre volte in cui ho il sospetto fondato che questi pensieri siano delle trappole tese da qualche parte dispettosa del mio cervello che ama sempre giocare con i rimpianti, come se ci fosse un'anomalia nell'archiviazione dei miei file emozionali. Un virus che rimuove i brutti ricordi e salva solo quelli belli, immagini sbiadite e allegre.
E, infine, c'è questo momento in cui, durante un sabato sera di gennaio, mi trovo nell'esatta posizione sognata per anni e mi rendo conto che ci sono più sprazzi di sereno e felicità qui, in questa imperfezione di casa in affitto che in tutti i sogni effimeri di tardo adolescente nei quali mi sono avviata per quasi ventisei anni.
Capisco che la sfida è lottare per vederli sempre, questi sprazzi di luce.
E allora, anche l'esperienza non serve, so che ora sono libera, questa volta per sempre.

Il Solito Enorme Bacione a tutti.

Jù.

50 SFUMATURE DI VERDE, BIANCO & ROSSO

Allora come stai, che mi racconti?
E' normale domandarselo tra amiche, specie se non ci si incontra da un pò. Eppure quando me l'ha chiesto Serena, che non vedevo da una mezza eternità, sono rimasta a bocca aperta, senza riuscire a rispondere, nemmeno fossi completamente impreparata all'interrogazione di fine anno con la mia severissima prof d'italiano del liceo. Non so come sto. Mi sento amareggiata. Arrabbiata. Esasperata. Spaesata. Non mi riconosco più nell'Italia che mi gira intorno, intrappolata tra crisi dell'economia e scandali della politica. Come un criceto che corre forsennato nella sua ruota, ma resta sempre lì. Fermo allo stesso punto.
Un'Italia dove 4 milioni e mezzo di famiglie non arrivano a fine mese. Dove il 35 per cento dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni non studia, non ha un impiego e nemmeno lo cerca. Un'Italia vittima della corruzione: non passa giorno senza che un funzionario statale, un assessore regionale, un parlamentare finisca sotto inchiesta perchècoinvolto in casi di malaffare.
Mentre mi avviluppo in questi amari pensieri, mi capita sott'occhio un articolo di un mensile americano dal titolo "50 cose che gli Stati Uniti fanno meglio degli altri". Mi incuriosisco e inizio a leggerlo. Ci sono elencati i più svariati motivi di orgoglio: dall'hamburger ai film dei supereroi; dalla biondissima modella Kate Upton, icona della bellezza made in Usa, al politico 88enne Bob Dole, sopravvissuto alla seconda guerra mondiale, alle sconfitte elettorali, al cancro e per questo simbolo dell'America che non si arrende.
"Quello che vogliamo dire" conclude il pezzo " è che la crisi sta sopra le nostre teste, però noi non dobbiamo dimenticare tutte le cose che siamo bravissimi a fare".
Bella impresa trovare qualcosa in cui noi italiani siamo migliori di altri, mi dico con un misto di disincanto e scetticismo. Ma più ci ripenso, più mi sembra giusto provarci. E così, in uno slancio di ottimismo della ragione, decido di "copiare" l'idea e di cercare le 50 ragioni per cui dobbiamo essere fieri del nostro paese. Nonostante la crisi, nonostante gli scandali. Ve le elenco in ordine sparso, a mano a mano che mi vengono in mente:
1. Mario Balotelli (se perfino Time lo ha messo in copertina, vogliamo non esserne orgogliosi noi?)
2. Rita Levi Montalcini.
3. Falcone e Borsellino.
4. La Cappella Sistina di Michelangelo.
5. La Nutella.
6. I partigiani.
7. La Divina Commedia.
8. Roberto Benigni.
9. Le lotte femminili per il divorzio, l'aborto e la fecondazione assistita.
10. Leonardo Da Vinci.
11. La moda.
12. Renzo Piano.
13. Valentina Vezzali.
14. L'articolo 1 della nostra Costituzione.
15. Susanna Camusso.
16. Il Gattopardo, libro e film.
17. L'Infinito di Leopardi.
18. Papa Giovanni XXIII.
19. Fabrizio De Andrè.
20. La Ferrari.
21. Sophia Loren.
22. La Costiera amalfitana.
23. Va' pensiero di Verdi.
24. Il caffè espresso.
25. Umberto Veronesi.
Mi fermo qui, a metà, cari lettori. Mi piacerebbe che foste voi a completare la lista. Perchè sono convinta che ognuno di noi ha almeno un motivo per cui è orgoglioso di essere italiano. E che, tutti insieme, formiamo un Paese migliore di come lo disegnano.
Vi va di aiutarmi ad arrivare a 50?

Il Solito Enorme Bacione a tutti.

Jù.

LA NOIA

La noia non e' più quella di una volta. Non parlo dello spleen elegante e borghese descritto da Alberto Moravia e dagli scrittori esistenzialisti francesi, ma di quella leggera ed apparentemente inutile di quando eravamo ragazzini.
Allora non c'erano ancora le mamme-smart che oggi vedete sfrecciare nel traffico cariche di figli, vere staffette metropolitane che affrontano a tempo di record un percorso ad ostacoli tra ginnastica, chitarra, danza, tiro con l'arco, judo e nuoto sincronizzato, con sosta finale dallo psicologo per una seduta familiare al prezzo di una singola.
Prima nessuno si preoccupava di intrattenerti a tutti i costi. Il mondo dei grandi e quello dei ragazzini erano separati e andava bene così. Ognuno viveva la sua vita e ci si ritrovava con i "grandi" solo in alcuni momenti deputati della giornata. Senza l'aiuto del computer e dell'elettronica la noia era il miglior amico che avevamo e non era così ripetitivo come la sequenza di un videogioco. Bisognava arrangiarsi da sè, visto che non era un problema dei tuoi genitori se passavi un intero pomeriggio in casa a ritagliare bambole di carta o a guardare le gocce di pioggia che rimbalzavano sul vetro. La noia portava consiglio e aguzzava l'ingegno. Con lo sguardo fisso sul nulla io proiettavo sulla finestra che dava sul cortile svariate fantasie futuribili: era un pò come stare al cinema, ma il film era la mia biografia ancora da girare.
Non ero sola, appartenevo a un piccolo esercito di adolescenti, ognuno intento a costruire il suo lungo cortometraggio immagginario con lo sguardo fisso sulla finestra della cameretta. Allora dividevo la stanza con mio fratello più grande che per fortuna non era quasi mai in casa, già rapito dai primi amori, più che altro pretendenti senza speranza che lo venivano a prendere con lo spiderino, ma mai sotto casa, sempre a due isolati di distanza per non farsi vedere dal cerbero genitore. Fino all'ora di cena avevo un mare di tempo per inventare le mie esistenze rocambolesche.
All'inizio sono stata un Power Ranger, quello rosso. Al contrario del rosso Power Ranger avevo paura di tutto, soprattutto di una guerra atomica. Presto ho alzato il tiro e sono diventata principessa di Monaco. Mia mamma questa volta aveva approvato, visto che era stata una dei tre milioni di italiani che, da televisori casalinghi o apparecchi sistemati nei locali pubblici, avevano assistito al primo matrimonio reale in mondovisione. La diretta televisiva delle nozze di Grace Kelly con il principe Ranieri fu un evento memorabile per la sua generazione, io non ero ancora nata ma l'ondata emotiva deve aver turbato il mio incoscio tatuandolo con un marchio romantico (purtroppo indelebile) che mi ha inguaiato per sempre. L'abito da sposa della ex star hollywoodiana è ancora oggi termine di paragone inarrivabile per ogni vestito nunziale sulla faccia della Terra. La leggenda racconta che fu confezionato a mano da trentacinque sarte, dirette dalla stilista degli MGM Studios Helen Rose. Più che un abito un'installazione, e infatti fu donato al museo d'arte di Philadelphia, dove tuttora è ammirato da una continua processione di anziane signore commosse fino alle lacrime.
Questa zuccherosa vicenda principesca non poteva sfuggire alle mie fantasie proiettate sul vetro della finestra, ma per fortuna durò poco perchè il rock più maleducato la spazzo via in un giorno. In poco tempo passai dalla principessa del castello al ruolo più ambito di moglie ufficiale di Paul McCartney, il cantante bello dei Beatles.
Ero ancora una ragazza difettosa, con un sentimentalismo più vicino a Liala che a Simone de Beauvoir e, se mi avessero fatto l'esame del dna, avrebbero trovato poche tracce di principe azzurro.
Per la cronaca: poi Paul McCartney non l'ho più sposato, per fortuna aggiungo oggi, specialmente dopo aver letto una dettagliata biografia della sua fidanzata di allora che ci racconta la vita di coppia con la star come qualcosa di più vicino alla noia che al paradiso terrestre che immaginavo. A sentir lei, nonostante siano passati cinquant'anni, non è ancora riuscita a riprendersi, mentre lui nel frattempo ne ha fatta fuori un'altra mezza dozzina e sta benissimo.

Il Solito Enorme Bacione a Tutti.

Jù.