LA FELICITA' E' A 10 DOLLARI

Ci sono momenti in cui ci sembra che il mondo non ci assomigli per niente. Che giri al contrario, che non esista per altro scopo che per contraddirci, per metterci in discussione, addirittura per congiurare contro di noi.
Sono momenti passeggeri, tutti ne hanno provato uno almeno una volta.
Poi ci sono le persone per cui è sempre così. Le persone che non vanno di pari passo con il mondo che sta loro intorno.
L'autostima, ne sono sicura, può seguire anche questa via. Rendersi conto di essere diversi- qualunque sia il motivo di questa consapevolezza, quale sia il grado di questa diversità-, prenderne atto e accettarlo non passivamente ma attivamente. Farne la propria forza, la propria forma.
Qualcuno direbbe, usando un'espressione alquanto abusata, "andare sempre controcorrente". Sentire di non essere mai d'accordo con gli altri, o quanto meno con la maggior parte degli altri, e pure non smettere di crederci. E non lamentarsi per questo, non commiserarsi. Anzi, rivendicarlo con passione e senza cedimenti: va bene, sono in minoranza. Di più: sono la sola a pensarla così, o ad agire così. Ma che importa. Sono così, mi piaccio così.
Però non basta ancora.
No, perchè il capolavoro ti riesce quando, in quella "corrente" contro cui ostinatamente vai, ci metti pure te stessa. Allora sì che non c'è nulla che ti somigli. Perchè la tua autostima a quel punto acquista una base solidissima: l'ironia. Di fronte allo sguardo ironico, disincantato, capace di non prendere sul serio - meglio ancora, di non prendere come oro colato- neppure ciò che ti ha guidato fino a un attimo prima, il mondo fa un passo indietro. Ti si consegna.
E non è incoerenza, al contrario: è immergersi nella coerenza fino in fondo, fino all'estremo. Coerenza con se stesse e con la propria natura.
Qualcuno dirà: ma è impossibile. E' una formula astratta. E' un gioco di parole.
Troppo spesso si pensa che scegliere una via, nella vita, somigli sempre e necesarriamente a un bivio. O si sceglie una direzione, o si sceglie l'altra. O bianco o nero.
Raramente si pensa che, al contrario, possono esserci percorsi "misti", dove magari si imbocca una strada, la si percorre per un pò, quindi si torna indietro, si fa tappa per qualche istante al bivio dopodichè si imbocca l'altra. Ma anche da questa via, poi, si può sviare, camminare un pò nel terreno accidentato, rientrare sulla strada sporcandola con il fango che ci è rimasto attaccato alle suole.
Esistono vite che paiono segnate fin dall'inizio. Per il luogo in cui ci si è trovati a nascere, per il tipo di educazione che ci hanno dato i nostri genitori. E a quel punto si è portati a pensare che i casi possano essere soltanto due: o si segue la corrente, quel destino segnato, oppure ci si ribella, si grida in ogni direzione la propria volontà e si manda tutto all'aria, capovolgendo ciò che sembrava già stabilito.
Invece, il più delle volte, le cose non stanno così. Può capitare di lasciare i propri luoghi, liberarsi da una quantità di gioghi, di ganasce che ci avrebbero costrette a una vita che non ci piaceva.
Uscire, conquistare l'indipendenza e la soddisfazione di sè, e poi precipitare nuovamente in basso, là dove pensavamo di non doverci mai più trovare.
Quello che conta- l'unica cosa che conta- è non smettere mai di pensare. Di interrogarsi. Di leggersi. E non perdere di vista, mai, la consapevolezza di sè. Quando si soffre, rendersi conto che si sta soffrendo.
Si può anche scegliere di restare in una situazione che non ci piace, se abbiamo un motivo per farlo. L'importante è esserne consapevoli. E non smettere di cercare una via d'uscita.
E' ciò che mi ha insegnato la vita, perchè non soltanto ho ritrovato la mia via ogni volta che l'ho persa, ma, ora, sto diventando bravissima ad indicare vie agli altri.

Bacioni.

Jù.

APPUNTI.

Domenica sera. Poche immagini rubate al tiggì: il rombo della Ferrari che per qualche minuto copre i motori della macchina della guerra. E la veglia di piazza San Pietro, gremita e silenziosa, che pare scongiurare i razzi di morte sul cielo di Siria.
Poi, come spesso capita a casa quando piove, dal regno delle favole mi piace trascinarmi in un mondo che non lascia spazio alla realtà. Divano, copertina, dvd: Il mago di Oz, versione 1939.
Guardo gli strani compagni della protagonista Dorothy: un astuto spaventapasseri che pensa di non avere cervello e si convince di essere intelligente solo quando riceve un diploma.
Un uomo di latta, dolce e premuroso, che capisce di avere un cuore solo quando ottiene un attestato di generosità.
E infine un leone, che benchè sfidi ogni pericolo per salvare la piccola Dorothy, si crede codardo, fin quando una medaglia al collo lo fa sentire coraggioso.
La realtà bussa, sgomita, si intrufola. Così mi torna in mente il dibattito sulla Siria.
Sono giorni che leggo, ascolto e non riesco a farmi un'opinione. Il perchè ora mi è chiaro.
Capi di stato, segretari e ministri, che siano pro o contro l'intervento, tutti cercano attestati, medaglie, consensi. Agiscono pensando al verdetto della pubblica opinione, a cosa ne sarà della loro immagine e di quella del Paese che rappresentano. Cercano di scrivere la Storia prima ancora di farla.
Ce ne fosse uno, uno soltanto che pensa davvero a quei bambini siriani che la sera vanno a letto e non sanno se un gas o una bomba li inchioderà ai loro sogni per sempre...
Bè, uno c'è. Papa Francesco è entrato nel dibattito a gamba tesa, promuovendo un digiuno. Un gesto d'altri tempi. Semplice, simbolico. Che però ha scosso milioni di coscienze.
All'improvviso, che tu fossi credente o no, che tu fossi cristiano, ebreo, musulmano o buddista, hai intimamente capito che c'è un'altra via alla guerra. Un digiuno silenzioso si è trasformato in un urlo contro la violenza dalla forza inattesa e travolgente.
Insegnandoci che ottiene risultati, appoggio, consenso chi agisce per intelligenza, cuore e coraggio. Non chi cerca una medaglia ( all'intelligenza, al cuore e al coraggio ).

Bacioni.

Jù. 

ALL INCLUSIVE

Sognavo un triangolo di sabbia bianca. Un raggio di sole che bucasse le nuvole di questa estate irascibile e accaldata. E il rumore delle onde: lieve, intermittente, rilassante, una fune in sottofondo su cui stendere i pensieri. Niente di più, niente di meno. Solo infradito e ore vuote come bottiglie di gazzosa. Piacere elementare.
E invece, eccomi qui, in un villaggio all inclusive, prenotato alla cieca con una comitiva di persone.
L'amico di un amico di un amico ha detto che suo cugino si era trovato bene (non è andata esattamente così, ma quasi). Quando ci si muove con bambini al seguito in multipli di due, la vacanza organizzata è una certezza: loro fanno attività, tu ti riposi. Così mi hanno assicurato. Ma allora perchè a 10 minuti dall'arrivo, mi sento già stressata? Ci sono animatori ovunque. Nel parcheggio, alla reception, nei corridoi delle camere, al bar, dietro le piante. Ovunque. Sorridono e salutano. Danno a tutti del tu. Prendono confidenza. Scandiscono orari e fissano appuntamenti. E io non mi sono mai sentita tanto milanese (pur non essendolo). Milanese "dentro". Inteso come attitude, clichè, luogo comune: gelida e distaccata, orgogliosamente snob. E' l'unico modo per mettere le distanze tra me e loro: gli invasori. Invasori della mia privacy, del mio silenzio, del mio sacrosantissimo ozio.
Windsurf? No. Aquagym? No. Equitazione? No, no, no! Voglio solo bagni e riposo. Mangiarmi le unghie mentre leggo un libro. Dormire. Andare sott'acqua e ascoltare per pochi secondi il mare per poi risalire a prendere fiato.
E qui invece cantano. E ballano. E non si placano mai. Neppure in spiaggia. Sono così impegnata a "difendermi" che non mi accorgo neanche che il posto è bello. Il nostro Sud: così selvaggio e indomito, anche quando ci pianti la bandierina di un resort. Il terzo giorno comincio a sorridere. Sono già al quinto capitolo del libro e questo mi ha messo di buon umore.
Anche il resto della comitiva si sta riprendendo dallo choc. Ci sono spazi per farsi i fatti propri. E i bambini, obiettivamente, si divertono. Cambia il mio sguardo sugli animatori.
Sono ragazzi dai 20 ai 30 anni. Vengono da tutte le regioni d'Italia. Sono entusiasti ed infaticabili. Iniziano all'alba, finiscono a notte inoltrata. Sono l'Italia che non si abbatte. Sono la gioventù non corrosa dalla crisi, quella che ha voglia di fare, che non chiede soldi a mamma e a papà. Sono la risposta vitaminica a un'estate dimessa, con tempo incerto e turismo in affanno. Ma i russi accorrono a frotte e a me, tutto sommato, poteva andare peggio. 

Bacioni!

Jù.

I HAVE A DREAM

Non ero ancora nata nell'estate del 1963. Ma ho provato ad immaginare come sarebbe stato esserci. E, visto che nell'immaginazione uno può stare dove gli pare, anche sulla Luna, mi sono spinta fino a Washington. Dove il 28 agosto, davanti a 250.000 persone assembrate al Lincoln Memorial, dopo una marcia di protesta per i diritti civili, il pastore Martin Luther King pronunciò il famoso discorso contro il razzismo che lo avrebbe portato alla storia.
Di quello speech memorabile, durato 17.29 minuti (l'ho ascoltato e cronometrato su Internet, ma voi fate sempre finta che io fossi li), una frase ha trapassato i cuori e i decenni arrivando ancora intatta e vibrante fino a noi: "I have a dream". Io ho un sogno. 50 anni dopo, quel sogno si è in gran parte avverato. E a ricordarcelo c'è un presidente nero a capo degli Stati Uniti.
Ma non si è avverato del tutto. Da noi, a una ministra nera tirano addosso banane. E a un calciatore ghanese, nato e cresciuto in Italia, lanciano insulti razzisti.
A chi condivide e tollera tutto questo, consiglio di leggersi i passaggi salienti della vita del reverendo King. L'infanzia ad Atlanta, nel profondo Sud, dove un "negro", nigger, era tenuto a cedere il posto ai bianchi sui mezzi pubblici ( e il giovane Martin, di ritorno da un viaggio, fu costretto a fare 140 km in piedi per rispettare il divieto), le manifestazioni non violente, la copertina sul Time e il premio Nobel per la pace, mentre entrava e usciva di prigione per le sue arringhe e per la "folle idea" di estendere il diritto di voto ai neri. Un sogno che gli è costato la vita: il 4 aprile del 1968 fu assassinato a Memphis. 
I sogni, soprattutto quelli che sembrano impossibili, non si realizzano mai con facilità. Richiedono sacrifici e fatica.
Cosa sogniamo noi oggi? E siamo ancora capaci di sognare, avendo di fronte un futuro tanto incerto e un orizzonte con i soffitti cosi bassi?
Mi piacerebbe sapere cosa sognate voi.
Scrivetemelo, se ne avete voglia. Visto che siete in tantissimi a leggermi (lo so, ho le prove) e avete un pò di tempo a disposizione per farlo.
Approffittate di questo ultimo scorcio d'estate per liberare la mente e il cuore. I sogni hanno bisogno di aria e di cieli sgombri, per tornare a volare.

Bacioni!

Jù.