ROMANZO STORICO

Molto prima di Instagram, la magia si chiamava bianco e nero.
E' una favola in due parti, che si può raccontare ai ventenni quando si parla loro dei tempi in cui c'erano i gettoni per telefonare e altro antiquariato. Un tempo esistevano i rullini fotografici, e questa è la ragione per cui i nostri genitori nelle foto da adolescenti sono molto più brutti di noi, ma anche più rari: non c'erano filtri telefonici con cui sgranare l'immagine e darle un fascino posticcio, ma i rullini si pagavano ( e anche il loro sviluppo, e persino la stampa, perchè un tempo le foto erano su carta, potevi strapparle ), e quindi non passavamo le giornate a immortalarci come facciamo noialtri.
Tuttavia, spiegheranno i cinquantenni della zona di mezzo, quella in cui eravamo orrendi è già modernità. Erano già rullini a colori come consumo di massa. Prima di allora, in tempi nei quali purtroppo non fummo immortali, c'è stato un tempo che altro che l'iPhone: il tempo del bianco e nero. In cui era tutto bellissimo, per una ragione banale: erano meno.
Meno celebrità, meno affollamento di produzioni cinematografiche, programmi televisi, giornali da riempire con qualsivoglia starlette. Erano meno gli aventi accesso al quarto d'ora di fama, e quindi migliori, più selezionati, di qualità certificata? Non lo sapremo mai, mancherà sempre la controprova, non è affatto detto che quell'elitè non avesse escluso uomini più convincentemente qualunque di quanto lo fosse James Stewart, o bellezze più strepitosamente eleganti di quella di Lauren Bacall. Ma di certo c'erano meno fotografi, meno rotocalchi, meno catena da alimentare.
Non è che la Hollywood di allora, signora mia, sì che avesse stile. E' che siamo tutti bravi a essere fotogenici, se nelle uniche foto pubblicate abbiamo capelli perfetti persino in piscina: nessuno li fotografava in ciabatte da Starbucks, in pieno esaurimento nervoso mentre si rapavano a zero in un bagno pubblico, o sbronzi o strafatti o appena mollati. No, non è vero. Succedeva meno, ma succedeva. Succedeva, ma succedeva in bianco e nero.
Pensate alla foto di Marilyn Monroe scattata per le locandine di Come sposare un milionario, 1953. Pensatela oggi, scattata cinquant'anni dopo, a colori: non è più un sogno, una pin-up fragile, un fermoimmagine strappacuore. E' una concorrente del Grande Fratello che sta per andare ospite in un contenitore del pomeriggio. E' un provino scartato per il calendario di un maschile. E', soprattutto, una cui i settimanali pettegoli non risparmieranno didascalie sull'auspicabilità di una dieta. Complementari a quelle che andrebbero sotto Bacall a colori - così magra, avrà l'esaurimento, starà male, si dice stiano per ricoverarla per anoressia - o sotto Ingrid Bergman, il cui sguardo triste mentre pesca da sola non può che precedere interviste a fonti vicine alla coppia che ci dettagliano la crisi. Il giornalismo pettegolo esisteva anche allora, certo. Ma è il colore che ha rovinato tutto.
Il colore, mica il talento, è ciò che fa la differenza tra Elisabeth Taylor e Lindsay Lohan ( che, sempre alla ricerca di nuove ragioni per farsi stroncare, sta per intepretare Liz a colori). In bianco e nero, qualunque alcolismo, tossicodipendenza, e riduzione delle relazioni a una rissa perenne faceva parte del fascino da star che mica è come noi mortali. A colori, è un incidente stradale che rallentiamo per guardare, scuotendo la testa e chiedendoci che traumi infantili ci siano dietro.
Il colore, mica la filmografia, è la distanza principale tra la stessa Taylor e Kirstie Alley. In bianco e nero, ingrassare e dimagrire era ciò che dava carattere a una diva, era quel che la faceva sembrare la più fragile delle donne forti ( e viceversa ), era il dettaglio che la rendeva interessante. A colori, se ingrassi ti spetta una copertina su quanto ti piaci comunque, e quando dimagrisci un posto da concorrente a Ballando con le stelle. Tutto un complesso di cose fa sì che non esista più il divismo, ma alla base del meccanismo c'è la morte di quel padre di tutte le star che è stato il bianco e nero, un dio magnanimo e protettore che nessun filtro sgranato potrà mai eguagaliare.


Jù.



GREYGOOSE

A Ferragosto si dovrebbero cercare sui giornali idee per la gita di domani: musei da visitare, la spiaggia dove aprire l'ombrellone, il sentiero per la camminata prima del pic nic. Cose tranquille e intelligenti, che non contemplano spese proibitive. Una vita da italiana serena. Ci rifletto. Mi sembra che così fosse quand'ero ragazza.
L'estate erano due abbondanti mesi di sole cocente senza che un nembo corresse in cielo. Poi, con la fine di agosto e un clima meno rovente, tornavano in scena la politica, l'economia, il lavoro, la scuola. Le stagioni erano così ben scandite che i governi venivano definiti "balneari". Tutto appariva tranquillo perchè ero una ragazzina e non avevo responsabilità se non quella di pensare al mio futuro. E proprio qui sta lo spirito del tempo che viviamo.
Io, come tutti i ragazzi e le ragazze della mia età, ci immaginassimo avvocati, medici, imbianchini, muratori, mamme o altro, pur in un'economia senza scintille sapevamo che a breve la palla sarebbe carambolata tra i nostri piedi e avremmo giocato la partita della vita. Soprattutto ne erano convinti i nostri genitori, affannati per far tornare i conti ma con la speranza che i figli sarebbero stati meglio. Era un'idea di progresso. La somma di tante speranze individuali fa una speranza collettiva. E contribuisce a far crescere una nazione. Per dirla con il principe-poeta, "di doman non c'è certezza", nè allora nè oggi, però sappiamo qual è la sola cosa su cui fare affidamento: la nostra volontà di essere. Senza quella siamo in balia di chi ci vuole oggetti, macchine da consumo che rispondono a un disegno che non è il nostro e ci "rottama" quando non siamo più funzionali al progetto. Se ci va bene abbiamo, ma non siamo nulla. E una qualsiasi crisi ci prostra.
Su Sette, l''inserto del venerdì del Corriera della Sera, ho letto l'intervento di un anziano professore di Economia alla Sapienza di Roma. E' stato illuminante quello che ha detto e ciò che ha sottointeso. Parliamo tanto di Pil, job act, spending review, authorities, fiscal compact perchè non capiamo cosa stia succedendo al sistema economico in generale e all'Italia in particolare. Mario Draghi, l'Europa, il Fondo menetario, l'Ocse, la Banca d'Italia, l'Istat: chiunque abbia numeri in mano e incarichi di governo dell'economia lancia "moniti" auspicando nebulose riforme. Se la strada da percorrere fosse tracciata, univoca e non solo a pro di qualcuno dovremmo scendere in piazza e cacciare chi la imbocca. Ma non è così. La riprova? Dieci anni fa si parlava di "miracolo spagnolo" perchè il Pil di quel Paese galoppava grazie alle riforme del mercato del lavoro ( ovvero tutti precari ); 5 anni fa si assisteva al "disastro" iberico per effetto delle stesse riforme sull'impatto con la crisi finanziaria globale ( tutti disoccupati ); qualche giorno fa riecco il "miracolo" per un rimbalzo del Pil.
Nei palazzi lastricati di marmo sono tutti bravi a valutare le situazioni a posteriori. Comunque vada, il loro congruo stipendio corre. E intanto il nostro Paese deraglia. Pare non bastino iniezioni di liquidità nel sistema o 80 euro in busta paga per strappare un sorriso al Pil. E allora andiamo alla radice: la nostra è una crisi di fiducia. Ma fiducia in se stessi, non nella manna che scende dal cielo o nel salvatore della patria. Renzi, se non vuole bruciare il carico di aspettative trasformatesi nel 40% dei voti alle Europee, deve avere il coraggio di abbandonare il "marketing" e ragionare come l'agricoltore che dissoda la terra. Davvero, però. Ci vorrà tempo, e il raccolto verrà.


Jù. 

PERCHE' BANDERAS LIBERA MOGLI E CASALINGHE DALLA NOIA

Sulle donne e sul loro ruolo nella società i media sono pieni di stereotipi. Penso agli spot con le mamme che servono la famiglia o il corpo femminile usato per promuovere viaggi e computer. Bisogna cambiare, anzi i tempi sono cambiati, quindi è necessario adeguarsi, per civiltà, per decenza, anche per senso di realtà.
Questo è il riassunto di ciò che qualche tempo fa ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini e che di lì a poco, come spesso accade, è diventato motivo di conversazione e dibattito. Dunque, prima di inoltrarmi anche io in ragionamenti chiarisco un punto: finchè ci saranno ditte che offrono a una donna denaro ad esempio per sdraiarsi in mutande su un'auto, e soprattutto finchè ci saranno donne che su quell'auto ci si mettono volentieri in dèshabillè, contro la pubblicità sessista c'è poco da fare e da discutere. Dovrebbe essere già noto ai pubblicitari che una donna semi svestita è un messaggio spesso poco chic, tanto quanto le donne dovrebbero già sapere che spogliarsi pur di apparire è altrettanto poco moderno o innovativo.
Lasciatamelo dire, più interessante, e più dedicato a tutti, è stato invece il discorso che la Boldrini ha innescato sulle "normali" casalinghe che, armate di zuppiere fumanti, cinguettano in cucina come Cenerentole accasate e distribuiscono a marito e figli pasta scongelata, formaggio fuso e carne in scatola con un sorriso amorevole che sì, a guardar bene può sembrare anche stucchevole. O peggio, stolto.
Insomma, la polemica è che le donne non sono tutte così, o almeno non lo sono più. E i mariti, nella vita quella vera, non hanno quasi mai la camicia azzurra inamidata, perchè poche sono le mogli che ancora hanno il tempo di usare l'appretto, e sfoderano invece pance e girovita che in quelle camicie da figurini non ci starebbero mai. Insomma, secondo la Presidente la pubblicità non solo non è più lo specchio di questo nostro malconcio Paese, ma tiene in poco conto e poco apprezza le donne, che relega in cucina a far poco più che da domestica.
Pensiero piuttosto condivisibile. Con due "però": non tutte le signore, ne sono certa, si sentono offese dalla già citata zuppiera. Molte di loro sarebbero anzi giustamente felici di avere una famiglia così serena, allegra e composta a tavola. Perchè non tutte, per fortuna, vogliono fare carriera a scapito di marito e figli, e quindi se la coccolano come possono. Secondo "però" che si innesta nel ragionamento: immaginiamo per una volta di invertire i ruoli, cioè lui spignatta e la moglie, sul divano e in tailleur da lavoro, aspetta che sia pronto  guardando la Tv. Io non so se quella pasta, o quel budino o qualunque cosa fosse sarebbe poi così venduto. Sostituire la mamma rassicurante e brava cuoca con un papà che indossa il grembiule per me porterebbe le vendite al ribasso. Sarò mica anch'io contraria alla nuova dignità della donna che ormai la società deve riconoscere? Figuratevi. Io sostengo che presto ci saranno le "quote azzurre", perchè in tutto il mondo le donne si stanno facendo largo...e allora? E allora la trovata più geniale e la più divertente di tutti l'ha avuta il vecchio Mulino Bianco, e faccio volentieri pubblicità alla Barilla nonostante io sia omosessuale. Con coraggio hanno archiviato la loro famiglia felice ( che, attenzione, era adorata dai consumatori ), e al suo posto hanno messo un uomo. Nè una madre, nè un padre: un single. Antonio Banderas, che certo da Zorro è passato a fare i biscotti e non importa se non è più un sex symbol travolgente. Magari fa sorridere ma, state certi tutti, proprio tutti l'hanno visto e lo ricordano tra macina e farina. Presidente Boldrini, ecco forse il futuro sta qui: rivisitare il vecchio e trasformarlo in nuovo. Certo, Zorro aiuta.

Jù.


DI CHE COSA PARLA VERAMENTE L'AMORE

Per tanto tempo ho pensato che l'amore dovesse essere capace di "ripararci", ossia di riparare torti e ingiustizie, dolori e sofferenze. Una sorta di medicina esistenziale. Come se l'altro potesse farci tornare indietro nel tempo e trasformare il passato. In modo da rendere la vita più bella. Senz'altro diversa. Magari anche solo meno complicata.
Forse è per questo che, da ragazzina, avevo imparato a memoria una frase tratta dal libro di Ronald D. Laing, L'io diviso. E che smettevo mai di tirarla fuori quando c'era un problema, lei non mi ascoltava, oppure ascoltava ma non capiva. "Ci si può rompere soltanto se si è già a pezzi", scrive Laing. "Finchè il mio io bambino non è stato amato, io ero a pezzi. Amandomi come si ama un bambino, lei mi ha aggiustato".
E allora era sempre un ricominciare da capo. Perchè prima o poi l'avrei incontrata quella giusta. Prima o poi l'avrei trovata la donna capace di amarmi come si ama una bambina. Sempre pronta a consolarmi. Sempre pronta ad aiutarmi a tenere insieme i cocci rotti della mia esistenza.
Ma come si fa a chiedere a una persona di amarci come se fossimo bambini? Di quale amore stiamo parlando? Quello incondizionato che nemmeno una madre può darci, a meno di rinunciare a se stessa e sacrificare la propria vita? Quello che copre tutto, e che poi però ti soffoca, perchè anche un bambino ha bisogno di spazio e libertà per crescere e diventare grande?
L'amore non ripara e non aggiusta. Al limite, tollera. E insegna a sopportare. Perchè nessuno potrà mai ripagarci di tutto quello che non abbiamo avuto e di cui pure avevamo tanto bisogno. Nessuno ci potrà mai far tornare indietro per ricominciare tutto da capo. Anzi. Non è certo un'altra persona che può darci ciò che noi stessi non siamo in grado di concederci. Un pò di pace e un pò di tenerezza. Come basi necessarie all'amore di sè, ancor prima dell'amore degli altri.  Come dice anche quella famosa frase del Vangelo che tutti citano: "Ama il prossimo tuo come te stesso". E che continua a non avere senso finchè non si capisce che la parola chiave non è nè "prossimo" nè "amore", ma quel semplice "come" che tante volte si ignora. Perchè fino a quando non saremo capaci di amarci, saremo anche incapaci di amare gli altri.
Certo, quando lo sguardo della persona che amiamo si posa su di noi, tutto appare più lieve. Perchè allora si immagina di non essere poi così "rotti" o così "imperfetti". Almeno all'inizio. Prima di rendersi conto che i cocci sparsi della propria esistenza ce li si porta sempre dietro. Che non bastano dosi massiccie di colla e silicone per tenerli tutti insieme. E che non è certo l'altro che ci può aggiustare. Esattamente come noi non possiamo nè aggiustarlo nè salvarlo.
Nell'amore, però, credo, ci si riconosce. E forse sono proprio quei cocci - quando sappiamo riconoscerli e accettarli, e non facciamo finta di essere tutti d'un pezzo - che ci permettono di capire che anche l'altro se ne porta dentro tanti, con tutto il corredo di ferite e di mancanze.
Ciò che unisce veramente nell'amore è la condivisione dei segreti dell'infanzia, anche quando si è incapaci di mettere un nome o un volto all'impotenza e alla paura. Ecco perchè niente è più dolce di quei momenti in cui, riconoscendosi reciprocamente per quello che si è, la si smette di reclamare tutto ciò che non si è avuto, tutto ciò che ci manca, tutto quello che ci perseguita. E si prova ad andare avanti così. Talvolta incerti. Sempre fratturati.