VORREI DIRVI UN SACCO DI COSE ADESSO

Ho scritto uno di quei blog che non diresti. Infatti il giorno dopo averlo aperto sono stata quasi ricoverata in ospedale. Avevo la febbre a trentanove e un'infezione alle regioni meridionali dello stomaco che mi strappava ululati mannari. Eppure la sera prima stavo benissimo.
Era soltanto l'inizio. Da quel giorno mi sono piovuti addosso i resoconti di alcune vite ammalate, per le quali la farmacia ero io. Pare si chiami empatia. Le persone si specchiano in storie autentiche, apparecchiate a romanzo senza neanche il filtro della vergogna, e si sentono autorizzate a rivelare la loro. Non ai propri cari, ma all'amica di carta in cui riconoscono la compagna di sofferenze e rimonte esistenziali. Ne ho ricevute di ogni genere. Alcune, considerato il tema, persino divertenti. Mi ha scritto un'amica dell'adolescenza: "Anche io come te ho perso la persona con la quale pensavo di passare il resto della mia vita". E mi racconta di quanto gli manchi.
Un'altra mail arrivava da una località di villeggiatura che anni prima era approdata in cronaca nera per l'incendio di un albergo conclusosi con la morte del propietario. L'autore della mail raccontava che quell'uomo era suo padre. Aveva fatto uscire clienti e collaboratori con una scusa, poi aveva dato fuoco alle pareti di legno e si era rifugiato in mansarda ad aspettare la fine. Di lì a pochi mesi anche la madre era morta di crepacuore e il mio amico di carta si era ritrovato da solo in mezzo alle ceneri di una vita intera. Aveva usato i risparmi del padre per ricostruire l'albergo nello stesso luogo in cui sorgeva un tempo. Nell'opera di rinascita, non soltanto edilizia, gli era stata accanto una ragazza. Ma appena l'esistenza aveva ripreso a fluire in modo ordinato, ecco che era comparso Belfagor.
Nel romanzo di Massimo Gramellini Fai bei sogni, Belfagor è il nome che da bambino Massimo da al mostro che abita dentro di noi. Uno spiritaccio animato da buone intenzioni, in realtà pernicioso, perchè pur di tenerci lontano dalla sofferenza ci chiude in una gabbia di paure. Paura di vivere, di amare, di credere nei propri sogni. Il mio interlocutore era stato indotto a scappare dalla sua ragazza. Con la codardia tipica dei maschi quando vogliono sbarazzarsi delle femmine, non aveva avuto la forza di lasciarla. Perciò aveva fatto di tutto per farsi lasciare da lei e, dopo sforzi considerevoli, c'era riuscito.
Quando gli avevano detto del mio blog, aveva tenuto per un mese il link senza aprirlo. Gli incuteva timore. "Ma una notte, mi scriveva alla fine della mail, "una notte in cui rivoltavo nel letto come un pescecane nella rete, accendo la luce e comincio a leggere le tue storie. Sono arrivato al quinto post e ho capito che stavi parlando con me. Fuori aveva cominciato ad albeggiare. Così ho chiuso il blog e, indossata una felpa sopra il pigiama, sono andato sotto le finestre della mia ex. Le ho suonato, lei si è affacciata. Mi vuoi ancora?, ho urlato. Non ha risposto, ma ha aperto il portone".
Con Machissenefrega! ho aperto un portone da cui sono entrate carezze, confessioni e ringraziamenti. Un muretto di gratitudine a cui è dolce appoggiarsi quando fa buio. Perchè da quel portone, oltre alle carezze, è entrato anche qualche ceffone. Era prevedibile. Se alzi il velo sui tuoi tormenti più intimi, ti esponi alle critiche di chi trova insopportabile la sincerità perchè ne teme il contagio. Ma se fin dall'inizio sapevo benissimo a quali rischi mi sarei esposta con questo blog, cosa mi aveva spinto a iniziarlo? Semplice. Quando una ha ricevuto in sorte una storia e gli strumenti per raccontarla, non è giusto che la tenga soltanto per sè. Da molto tempo desideravo ricordare a un pò di persone che la vita ha un senso e che dobbiamo affrontarla "nonostante", senza lasciarci parallizare dai "se". Ma certe prediche sarebbero suonate false in bocca a una centralinista percepita come una privilegiata. Soltanto la confessione spietata delle mie disgrazie e delle mie debolezze avrebbe reso credibile il messaggio, anzi il messaggio di speranza che intendevo dare.
Per non avere più paura di soffrire è indispensabile liberarsi dal dolore. Milioni di persone provano a farlo ogni giorno, prodigandosi in preghiere e buone azioni oppure stordendosi con droghe ed esperienze estreme. Ma i ricordi dolorosi non si possono eliminare. Quello che si può eliminare è il dolore associato ai ricordi.
Oggi riesco a pensare al mio ex fidanzato senza più provare dolore perchè ho accettato intimamente una verità indimostrabile: che tutto ciò che accade è sempre giusto e perfetto. Che il dolore è qualcosa che ci capita addosso non per sfortuna, ma per concederci l'opportunità di conoscere la parte irrisolta di noi. Se da quando nasci a quando muori nella tua vita non è cambiato tutto o almeno qualcosa, significa che la vita non ti è servita a niente.

Bacioni!

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