#CANNES2015

"Che bambine smarrite e ormai pure marcie siamo", sospiro al classico pranzo domenicale fra Senza Famiglia. Siamo i soliti sette a cui chi segue questo blog potrebbe cominciare ad affezionarsi. C'è il Riflessivo, c'è l'Intensa, la Luminosa, il Vorrei Essere Jessie J, l'Amazzone, l'Ex Fidanzato e ci sono io. La Guastafeste.
Tanto Guastafeste che, anzichè godere del pollo al curry che ha preparato l'Intensa e di questa strampalata primavera, punto l'attenzione su di noi.
"Perchè dici così?", abbocca subito all'amo il Riflessivo.
"Perchè vi osservavo, ci osservavo. E mi chiedevo se troveranno mai pace, persone sbrindellate come noi".
"In effetti, dovete ammetterlo: alla vostra età quasi tutti hanno un posto da chiamare casa e hanno formato una famiglia", sentenzia Vorrei Essere Jessie J.
"Perchè ti chiami fuori, scusa?" gli chiediamo tutti, più o meno in coro.
"Perchè io voglio essere fantastico, mica innamorato e felice": Lui.
"Parli da uomo ferito, e lo sai": la Guastafeste.
"Stronza": l'Ex Fidanzato.
"Eccerto, secondo te è sempre meglio dirsi bugie e avallare quelle degli altri, per quieto vivere": la Guastafeste.
"Sentite", interviene per fortuna, l'Amazzone, "ognuno di noi, a modo suo, ci ha provato. Forse abbiamo fallito. Ma forse invece le cose semplicemente finiscono. Senz'altro però i nostri trent'anni, o giù di lì, sono pieni di strappi, di bruciature".
Tocca all'Intensa: "Ogni separazione con l'altro ci ha separato un pò anche dentro, non siamo più un blocco unico, siamo tanti pezzi. Siamo a pezzi".
Ce l'ho fatta: ho rovinato questa bella domenica.
"Eppure", dice la Luminosa. E d'istinto ci aggrappiamo a quell'eppure: "Avete mai sentito parlare del kintsugi?".
No. Ma la Luminosa, che colleziona corsi improbabili, da qualche settimana ne frequenta uno di ceramica giapponese. Dove ha scoperto il kintsugi. Altrimenti detta l'antica arte dell'irreparabile bellezza. Un vaso cade e si frantuma? Perfetto: " Dimostra solo la natura di ogni cosa, di ogni persona".
Tutti, fosse solo vivendo, ogni giorno ci ammacchiamo un pò, tutti potenzialmente "siamo a pezzi": ma non è che a quel punto il gioco finisce. Anzi. Il gioco comincia. Perchè, grazie al kintsugi, gli artigiani giapponesi rinsaldano con la lacca gli utensili spaccati, poi riempiono i punti di rottura con oro liquido, o in polvere, così che un piatto o un vaso non si limiti a tornare ad essere se stesso: ma diventi molto, molto più prezioso e trovi davvero la possibilità di essere un oggetto unico, forte di quelle crepe, forte di quelle fragilità evidenziate dall'oro.
Rimaniamo in silenzio, ognuno a tu per tu con le sue cicatrici, con le rughe che ha attorno agli occhi e al cuore. Ma soprattutto con la possibilità di rendere onore a quelle cicatrici, a quelle rughe.
Guardo l'Ex Fidanzato e mi chiedo se anche io come lui avrei potuto occuparmi con più cura delle nostre sbeccature, ma la sua presenza a questo pranzo, tutto sommato, già mi sembra un tentativo, magari goffo, di kintsugi. Poi il pensiero, inevitabilmente, spazia.
Anzichè rottamare, divorziare, rimuovere, ficcare polvere e cocci sotto al tappeto, ed essere quindi destinati a ripetere le stesse cazzate, a cadere negli stessi tranelli del nostro incoscio e a rompere di nuovo nell'esatto punto in cui ci siamo già rotti: non sarebbe più giusto provarci tutti, come individui, come famiglie e come società, a ripararci con l'oro?
Certo che sì. Certo che sarebbe più giusto.
Perchè, semplicemente, in armonia con la natura di ogni cosa, di ogni cosa, di ogni persona.


   CANZONE CONSIGLIATA: We found love, cover di #JessieJ. 
Questo è un tempo in cui le categorie aiutano le persone a semplificare i sentimenti, come se i sentimenti fossero materia semplice. 


La Jù.

#POPSTORY

Il cappuccino, non so perchè, lo fanno tiepido. Il cappuccino è caldo, dovrebbe essere caldo, ma è sempre invariabilmente tiepido. Per averlo caldo dovrei dire "un cappuccino caldo"; ma una frase del genere non è sufficiente, non basta affatto, perchè stai semplicemente dicendo che vuoi il cappuccino come si fa di solito e non quello freddo. Ma il cappuccino come si fa di solito, quello caldo, lo fanno tiepido.
Allora, la formula che si usa più frequentemente è "un cappuccino bollente". Questo dovrebbe essere chiarificatore, e lo è. E infatti anche io, come quasi tutti, ho adoperato questa formula, per un pò. Ma non si sa perchè, questa frase dà sui nervi al barista. Soprattutto, quando dici "bollente", si incazza.
Ti guarda negli occhi con aria di sfida. Vuole dimostrare che tu il cappuccino bollente non lo riuscirai a bere, e allora lui adesso te lo fa davvero bollente, così vediamo. E infatti lo fa ancora più bollente di quanto tu possa immaginarlo, in modo che tu non solo non riesci a berlo, ma non riesci nemmeno ad avvicinare le labbra alla tazza, e se lo fai ti ustioni. Intanto, il cameriere ti guarda molto soddisfatto. Come se volesse dire: adesso voglio vedere se romperai più il cazzo tu e 'sto cappuccino bollente. Quindi la volta successiva non lo chiedi bollente, e ti danno il cappuccino tiepido, che per loro è caldo. Non se ne esce.
La formula che alla fine, dopo vari tentativi, ho trovato, è: "Un cappuccino ben caldo", sottolineando quel ben, ma in modo non eccessivo, non tronfio, un pò timido, altrimenti il barista si innervosisce anche qui e dice: adesso te lo faccio vedere io se è ben caldo o no.
E' evidente però che con questa frase stai dicendo che non lo vuoi tiepido e non lo chiedi bollente. E' una formula anche un pò goffa da dire, ma che può funzionare. Quando funziona sono felice: ma anche questa funziona solo qualche volta.
Ho un innaturale e morboso attaccamento al tubetto del mio dentrificio. Una specie di fedeltà, che sulle prime è rivolta al tipo di dentrificio, ma poi si trasferisce sul singolo tubetto. Anche perchè non è stato semplice scegliere questo tubetto di dentrificio al supermercato.
Sono tutti così incoraggianti, risolutivi: quello che c'è scritto a proposito di carie, gengive, sbiancanti, placca è esattamente quello che ti serve e che risolverà per sempre la questione dei tuoi denti.
Però, ad un certo punto, bisogna scegliere. Ed è difficilissimo. Sai che se risolvi la placca non risolvi il sanguinamento delle gengive, se risolvi lo sbiancamento perdi di vista le carie...E così, quando ne scegli uno, sai che hai perso tante altre possibilità di guarigione definitiva. Quindi, ti affezioni morbosamente a quello che hai scelto, per convincerti che è quello giusto.
Il mistero intimo comincia a materializzarsi man mano che il dentrificio si consuma.
Pur avendo il suo sostituto già pronto nell'armadietto accanto allo specchio, il mio legame con lo specifico tubetto si fa morboso nel momento in cui la quantità di dentrificio all'interno va verso la fine. L'atteggiamento che ho si fa ossessivo. Il rapporto tra me e il dentrificio diventa una sfida, comincio a premere il tubetto nei modi più improbabili in attesa che venga fuori una piccola quantità, come se passare a quello nuovo, a un altro, fosse impensabile. Faccio finta che sia per non sprecare, ma la verità è che non riesco a staccarmi dal mio tubetto, e per questo motivo lo spremo, lo piego, torco, accartoccio - tutto, pur di non abbandonarlo per sempre. Ogni mattina in cui bisogna rassegnarsi al cambio, come Rossella O'Hara afferro il nostro tubetto pronunciando il mio "domani è un altro giorno", comincio a torturarlo per amore, per rimandare a domani la sua fine.
Un atto di fedeltà che probabilmente trascuro per il resto della giornata nei confronti degli esseri umani.
Stamattina alla fine mi sono arresa, e ho preso dall'armadietto il dentrificio nuovo.  


   CANZONE CONSIGLIATA: Tutto l'oro del mondo, #Noemi. 
Le sottrazioni d'amore non hanno mai prestito. E se la forza nasce dal perdono, allora io credo nel perdono.