#ILSENSODELVIAGGIO

Da qualche millennio l'umanità va avanti raccontandosi storie. Non fraintendetemi, non credo che il collante del mondo siano le bugie, penso proprio ai racconti, alle fiabe, narrazioni apparentemente irreali e invece piene di vita, di insegnamenti, di messe in guardia. A Cappuccetto Rosso la mamma dice di stare attenta al lupo-pedofilo, i tre porcellini insegnano l'importanza del lavoro, come la storia della cicala e della formica, e così via. Non c'è fiaba che non serva a qualcosa. Così come le leggiamo ora sono state imbellettate da Charles Perrault, dai fratelli Grimm, da Hans Christian Andersen, da molti autori per l'infanzia, ma quasi tutte hanno radici antiche, popolari: erano il modo di educare alla vita, alle sue luci e alle sue ombre, quando le scuole non esistevano e nessuno sapeva leggere e scrivere.
Mi limito a questi nomi ma potremmo evocare i favolisti greci e romani o quelli medioevali, di cui abbiamo più o meno memoria. Persino i filosofi quando volevano parlare a un pubblico più vasto ricorrevano alle fiabe. Voltaire, ad esempio, per indicare la via alla felicità in un mondo di "sfighe" narra la storia di Zadig. E cosa sono Pinocchio o Alice nel paese delle meraviglie? Pensavo a questi consolidati anticorpi temendo fossero ormai depotenziati da WhatsApp e i suoi fratelli. Poi ho letto la storia del brutto anatroccolo Mika, figlio e mito della generazione cresciuta con Internet, i social network e i talent show. Sentendolo parlare di sè, di quando i bulli gli tiravano le lattine di Coca Cola all'ingresso della scuola di Londra costringendolo a una forma di autismo tra i viali di Hyde Park, e di come si è riscattato grazie a una madre interessata a lui, alla sua realizzazione, ai suoi desideri e non a quello che diceva la gente o qualche insegnante, ho capito che nessuna tecnologia può decidere i nostri destini. Sì, ci può condizionare, ma noi siamo soprattutto noi stessi e le persone che ci stanno intorno. Il giovane, tecnologico, famoso Mika racchiude tutto nella frase: "La bellezza si provoca con la bellezza". E viceversa. Allora ho scomodato un mio vecchio professore con qualche anno di esperienza in più chiedendogli di spiegarmi perchè nel mondo si producono tante (incomprensibili) disuguaglianze. Divari che sembrano destinati ad aumentare in maniera intollerabile: quest'anno, negli Usa, il reddito medio dell'1% dei più ricchi è 30 volte superiore al reddito medio del restante 99%. Immaginatevi se lo paragonassimo al 50% della popolazione meno abbiente. In situazioni come queste, nella Storia, sono maturati sconvolgimenti sanguinosi. Alcuni economisti hanno elaborato una formula semplice per definire la "felicità" in economia: si ottiene quando aumenta il nostro reddito in maniera più che proporzionale rispetto a quello di chi ci sta intorno. Ciò significa che anche il benessere degli altri deve migliorare. In caso contrario siamo "infelici" perchè l'invidia di cui siamo circondati ci mette in pericolo. Sembrerebbe una formula facile da applicare: basterebbe moderare l'ingordigia di chi ha già tutto. Ma come possiamo constatare ogni giorno, non è così che va il mondo. Perchè? La risposta è sempre la stessa: homo homini lupus, l'uomo è un lupo per l'uomo. E la finanziarizzazione dell'economia mostra zanne sempre più affilate e voraci.
Eccoci tornati alle antiche fiabe.
Evidentemente hanno insegnato poco.


   CANZONI CONSIGLIATE: Il mio paese in maschera, Emanuele Dabbono + Generazione Boh, Fedez + C'est ma terre, Christhophe Maè.
Vedrai l'albero dei giusti e le ingiustizie radicarsi. Ma se hai paura, stringimi. 

#LIBRI

A Milano, la Libreria del Corso chiude. L'altro ieri mi è arrivata una mail che diceva di usufruire dei "punti fedeltà" sulla mia tessera entro il 2 novembre.
Settimana scorsa sono uscita di casa e sono andata in corso Buenos Aires 39 nella speranza che fosse un allarme invece di un funerale.
Però poi sono entrata in libreria come si entra in chiesa; col cappello in mano, se avessi il coraggio di portare il cappello.
L'unica cosa che sono riuscita a proferire, col tono della cospirazione, è stata: "Ho ricevuto la mail". I commessi avevano tutti gli occhi lucidi. Annuivano con la definitività delle decisioni prese. La Libreria del Corso chiude.
Al mio secondo "Mi dispiace tantissimo", la mia amica libraria è esplosa: "Ti spiace, Ju? Anche a me, e non perchè sarò un'esodata, ma perchè non farò mai più la libraria dopo 25 anni che consiglio scrittori che ho letto. Da giorni assistiamo alla processione dei clienti "tantissimo dispiaciuti".  E in quest'anno di crisi durissima? Dove eravate quando avevamo bisogno?".
Mi sono vergognata come un cane, sentita una schifezza, scoperta piena di colpa. Uscendo ho pure visto uno dei libri di una mia amica scrittrice in bella mostra e mi sono sentita ancora peggio. 
Perchè io compro anche online, certo, e vado a caccia di sconti e compro usato; però poi per farmi ispirare, consigliare, anche solo fare due passi, le librerie mi mancano terribilmente. Per un istante penso che forse comprare online è non dover mai dire "mi dispiace".
Ieri un'amica libraia mi ha mandato un lungo messaggio che inizia così: "La libreria attraversa un momento di difficoltà...".
Ho proseguito con un groppo in gola e una sola certezza: "Ecco, chiude anche la Ubik di Parma, non attendere la fine dell'sms per sentirti una schifezza".
E invece il messaggio era una richiesta: "Aiutateci! Oppure siamo spacciati". Ecco, questa volta c'è un pò di tempo, stavolta si possono fare delle cose per salvare questa libreria. Non ultimo, andare lì a comprare dei libri, godere del servizio di migliaia di bravissimi librai che sono tutti, chi più chi meno, strozzati dalla crisi, in procinto di chiudere, ma fermi nella loro missione di "spacciatori di sapere".
Io oggi so di questa libreria di Parma, ma ognuno di noi sa di molte altre librerie prese nella morsa della grande distribuzione, dell'online e del drastico calo di vendite dell'intero settore cultura.
So bene che ci sono problemi più urgenti che riguardano la fame, la salute, l'affitto e tante altre cose, però l'impoverimento culturale ha solo minori conseguenze nell'immediato: sul lungo periodo lo pagheremo a prezzo salatissimo e con molto, moltissimo dolore. Sapere le date di quando scoppiano le guerre o le bombe è importante, riconoscere le vigilie delle tragedie è più difficile ma può anche essere più utile evitarle o limitarne i danni.


   LIBRI CONSIGLIATI: Il bambino che imparò a colorare il buio, Billy Mills & Nicholas Sparks + Anna, Niccolò Ammaniti.
Un raggio di luce buona vi arrivi dove sentite freddo.