#PapàDicevaSempre

Ogni tanto mi capitava. Certo, non succedeva spesso nè facilmente e neppure con tutti. Però, quando accadeva, era una meravigliosa epifania. Di quelle che accendono la mente e scuotono anche un pò la pancia, di quelle che risvegliano lo stupore e la meraviglia, di quelle che fanno sentire vivi e danno un senso più alto al nostro andare. Quando accadeva, era un brivido, una scossa di felicità. E l'amore, la passione, il desiderio non c'entrano, almeno non nella loro accezione classica.
Mi capitò una volta, ricordo, in seconda elementare.
La maestra ci stava spiegando i modi e i tempi verbali. "Modo indicativo, presente, imperfetto, passato remoto, futuro semplice...Bello, no?". Non era bello, pensai, nel furore esaltato dei miei sette anni. Era straordinario. Imparavo che i verbi possedevano una loro magica armonia. E se la possedevano i verbi, che in qualche modo governavano il mondo, dovevano per forza possederla anche le nostre vite. Fui grata alla signora Lia, la mia maestra, che, generosamente, aveva aperto per noi - o, nel mio egocentrismo bambino, solo per me - uno scrigno prezioso, colmo di informazioni segrete e fantastiche. Mi successe nuovamente al cospetto dello schema dell'analisi grammaticale, anch'essa meravigliosamente ordinata e prevedibile, dietro una maschera di caos apparente.
E poi, ancora, alle medie, quando un'illuminata docente di scienze ci raccontò, con gli occhi sgranati dal suo stesso stupore, come funzionavano gli atomi e le molecole.
Per cinque anni di liceo ebbi un'insegnante straordinaria che distribuì perle inestimabili che, da qualche parte, conservo ancora. Me ne innamorai quando leggemmo insieme I cavalieri della Tavola Rotonda e quando, grazie a lei, scoprìi che nel latino avrei trovato radici, spiegazioni e chiavi per capire me stessa. Il brivido tornò un paio di anni dopo, durante una lezione di filosofia sulle idee platoniche, concetto, ai miei occhi di allora, tanto discutibile quanto ipnotico.
Si trattava di fugaci lampi, a rischiarare di rado un monotono grigiore, reso tale dal claustrofobico e ineluttabile senso di coercizione della scuola. La potenzialmente sublime pratica dell'istruzione era inquinata e compromessa dall'odioso aggettivo "obbligatoria".
All'università (che non ho mai finito) quando nulla era più obbligatorio, fui guidata dal criterio dell'utilità, più che del diletto o dell'interesse. Così studiai, controvoglia, materie che detestavo, perdendo un'immensa occasione di piacere, oltre che di crescita.
La vita, poco dopo, mi travolse e, lungo la strada, almeno per un pò, persi memoria di quella sete e del piacere di soddisfarla. Ci sono tuttavia languori che non si placano mai del tutto e fuochi che continuano a bruciare, sotto le braci. Sette anni fa, nonostante il lavoro, gli antidepressivi e parecchia fatica, quella sete si fece inquietudine che, a sua volta, si fece urgenza. Tornai a scrivere. Ogni giorno, tutti i giorni. E poi feci un piccolo corso di scrittura creativa. E ritrovai immediatamente la stessa fascinazione irresistibile che un tempo mi regalò l'armonia dei modi e dei tempi verbali, la sorpresa di un mondo che si chiude per te, il godimento di pendere dalle labbra di qualcuno e sentirsi al centro. Ero felice, ogni sera, quando mi mettevo a scrivere, di una felicità diversa dalle altre, di una felicità che, dopo, ti fa sentire migliore.
E poichè la felicità dà dipendenza, oggi ci sono ricascata. Mi sono iscritta a un corso di dizione e di fonetica (che ha la "e" aperta) perchè è un altro modo di conoscere le parole. Il giovedì sera, due ore, in un sottoscala che sa di umido. Di nuovo a scuola, di nuovo quel brivido, di nuovo quella felicità.
Tutto questo è per dire che ogni tanto, ogni tre anni per esempio, concedersi qualcosa da imparare - qualsiasi cosa: dal kamasutra alla stenografia, passando per il tip tap oppure per la cucina cubana - è una cosa che fa bene, come la frutta, la verdura, l'esercizio fisico e l'aria di mare.


   LIBRO CONSIGLIATO: Il gusto proibito dello zenzero, Jamie Ford.
A scuola, ho imparato la felicità. 
Non si cambia, si cresce. E c'è una bella differenza.