#GUERRIERO

Ogni volta che mi metto davanti al pc per vomitare fuori un punto di vista che proprio dentro non sa staree ogni volta che poi mi trovo in procinto di renderlo noto perchè, come un'anoressica della parola, non riesco  a tenermi dentro nemmeno un cecio, mi pongo sempre lo stesso quesito: conosco la materia che sto affrontando? Se la risposta è sì procedo, ma se la risposta è no mi arresto, faccio dieci passi indietro, mi documento, afferro, elaboro e solo in quel momento eventualmente esterno.
Va da sé che tutto ciò che deriva da un’esperienza personale e diretta rientri nel catalogo di ciò che conosco bene, ancorché a menadito. Chi parla della consistenza della merda senza mai essersi sporcato le mani non godrà mai della mia credibilità. Dal canto mio vi posso esternare cosa io pensi, che so, della situazione sulla striscia di Gaza, ma mai oserei raccontarvi cosa si provi a viverci. Questo è compito, pertinenza e diritto di chi là c’è o c’è stato.
Fatta questa doverosa premessa, ora leggerete quello che ho scritto.
Nei miei frequenti pellegrinaggi per le librerie mi capita spesso di imbattermi in testi sovente evitabili, spesso inutili, spessissimo biasimevoli. Libri che già dal titolo mi suonano come un’orchestra di chiodi arrugginiti su una lavagna. Mi sto riferendo a una particolare categoria di essi: quelli che parlano di depressione. “Battere la depressione è facile se sai come fare” oppure “Ho sconfitto la depressione” o ancora “Depressione addio”. Il tutto corredato da foto di copertina con mentecatti sorridenti e spensierati, finalmente liberi da quel “fastidioso intoppo”.
Alcune precisazioni imprescindibili.

  • La depressione non è la tristezza. Chi le confonde è uno che scambia una polmonite per un raffreddore.
  • La depressione è una malattia vera e propria, non uno sgradevole inconveniente. Una malattia e come tale va trattata.
  • La depressione è peggio di un cancro, se mi passate la provocazione: il cancro lo individui, è tangibile, sai dov’è. La depressione invece è un nemico invisibile, ineffabile, non sai dove volgere lo sguardo per prendere la mira e colpire e ciò da un senso di impotenza e terrore. Un depresso è una preda nella foresta in una notte senza luna.
  • La depressione non ha limiti offensivi. Può espandersi a dismisura facendosi beffe dei confini geografici del nostro corpo. Può diventare fisicamente più grande del depresso prendendo forma di altre persone, fino ad arrivare al mondo intero. Il depresso è un pidocchio di fronte a un ciclope.
  • La depressione NON si sconfigge. MAI. È un mostro immortale che non si può battere, ma soltanto combattere. Lo metti all’angolo esangue certa di aver vinto, abbassi la guardia, gli dai le spalle e quella si rialza e ti balza al collo. Il depresso è un soldato arruolato per una guerra che non sceglie e che può solo combattere. Prima impara che non vedrà mai la vittoria e prima diventerà una soldato efficiente. Combattere, combattere e combattere. Dimenticarsi della pietà suscitata da un nemico a terra: infierire, senza esitare. La depressione è esperta artista della tanatosi, la tecnica usata da molti animali che consiste nel fingersi morti di fronte al nemico. Il soldato-depresso non deve mai cascarci o è finito.
Diffidate da persone comuni o Vip in cerca di riflettori che sostengono di averla battuta: se l’hai battuta allora non era depressione. O stai mentendo a te stesso.
Il primo passo è accettare un aiuto concreto e qualificato, senza vergogna, senza preconcetti riguardo a farmaci, psicologi e psichiatri: se hai un femore rotto vai dall’ortopedico, non stai a casa a sperare che guarisca. Così deve funzionare per la depressione.
Senza eccedere nella direzione opposta: nessuno ( farmaco o medico ) ha la bacchetta magica, il grosso lo devi fare tu.
Il depresso è un autista con l’auto in panne e senza benzina: lo psichiatra e i farmaci sono il meccanico e il benzinaio che ti aggiustano il motore e fanno il pieno di benzina; lo psicologo è il navigatore satellitare che ti suggerisce la rotta. Ma il volante e i pedali ce li hai sempre in mano tu e nessuno guiderà al tuo posto. I farmaci e i medici sono importanti alleati, non eroi che ti prenderanno di peso portandoti in salvo.
Chi è depresso deve lavorare il triplo per stare in equilibrio. Non l’ha scelto, ma come un soldato preso per gli stracci e catapultato in guerra, non può sottrarsi dal lottare.
È la prima volta che esco allo scoperto pubblicamente. Io sono una soldatessa che vi racconta la guerra dall’interno della battaglia. Le mie armi sono le cose che mi fanno bene: ogni volta che scrivo una canzone, che ascolto Marco Mengoni, che passo del tempo con mio nipote, ogni volta che lui mi fa un disegno, che dipingo, ogni volta che sorrido a chi non conosco, ogni volta è una fucilata che sferro al nemico, senza pietà. E se le munizioni finiscono – perché finiscono ogni tanto – vado all’arma bianca col coltello tra i denti in un corpo a corpo furioso. È una fatica maledetta, ma in gioco c’è la vita. E non per modo di dire.
Quando cinque anni fa la misura fu colma e tracimò, non fui capita e me ne fregai. Poi sul mio conto iniziarono a girare strane voci e allora presi gli ultimi spiccioli di forza e coraggio e una sera chiusi le persone che frequentavo più assiduamente in un bar e vuotai il sacco. In lacrime, tremando. Cercando di essere più diretta possibile. Ed esigei una cosa sola: “Non trattatemi da matta. Il modo migliore per aiutarmi è continuare a porvi come avete sempre fatto, con naturalezza. Ho bisogno di normalità attorno a me”.
Voglio con queste mie parole essere utile a qualcuno e smascherare chi va in giro a raccontare balle grosse come case su presunte guarigioni miracolose. Voglio col mio coming out abbattere un tabù assassino che miete vittime su vittime e che mi ha portato via uno zio e una cugina.
Voglio pisciare in testa a voi professionisti del dito puntato, fuoriclasse del giudizio sommario che ci catalogate alla voce “matti”.
Chi è depresso non è pazzo.
I pazzi siete voi.
Forza soldati.
Combattete.


 "...Giuro sarò roccia contro il fuoco e il gelo, 
veglio su di te, 
io sono il tuo Guerriero."


La Jù.











LOVE RUNS OUT

"Che c'entra l'amore con il matrimonio?" chiede Gaia a Marta quando racconta che, da quando si è sposata con l'uomo che ama, anche se non è cambiato niente, in fondo è cambiato tutto. Perchè il semplice fatto di dire "mio marito" la rassicura. Quel "mio" le piace tanto. Anche se di "mio", forse, c'è solo l'amore. E quello, con il matrimonio, c'entra poco. "Vedi, lo dici anche tu Jù! Allora perchè lo difendi tanto?".
Giada non se ne fa niente delle ragioni che le snocciolo davanti, una dopo l'altra, come la lista della spesa. Non le importa capire perchè la cerimonia organizzata da Ignazio Marino al Campidoglio il 18 ottobre per trascrivere sui registri dell'anagrafe le nozze di 16 coppie omosessuali sposate all'estero sia così importante. Sorride quando le dico che quel #romaregistra che ha circolato sui social network mi ha fatto sorridere e anche tanto. Continua a ripetermi che di matrimoni senza amore ce ne sono fin troppi. E che l'amore non ha bisogno di regole e di convenzioni per sostenersi e andare avanti. "Anzi, a volte l'amore muore proprio perchè soffocato dalla routine e dalle abitudini".
Ma quello che voglio farle capire è altro. Quello che mi interessa non sono i vantaggi e gli svantaggi del matrimonio. E' la possibilità di sposarsi. Che oggi in Italia hanno solo le coppie eterosessuali. E che dovrebbe invece poter essere accessibile a tutti, indipendentemente dall'orientamento sessuale.
Credo che l'essenza dell'amore sia la Libertà. Libertà di essere se stessi. Libertà di sbagliare e di farsi male. Libertà di rompere tutto e di ricominciare. Ma questa Libertà la si può voler organizzare all'interno di un'istituzione. E non vedo perchè alcune persone, solo perchè omosessuali, non ne debbano avere il diritto.
So che forse qualcuno di voi, insieme a Giada, non è d'accordo.
L'amore non lo si decreta mai una volta per tutte. L'amore lo si deve poter continuare a scegliere ogni giorno. Ma su questo siamo d'accordo. Quello che ci divide è altro. E questa volta non mi va di lasciar correre. Perchè non stiamo solo parlando di te, di me, della nostra amica e di quello che pensiamo. Stiamo parlando di qualcosa per cui si battono da anni tutti coloro che vivono sulla propria pelle esclusione e pregiudizi, emerginazione e assenza di visibilità.
Quanti sono coloro che in Italia, ancora oggi, pensano di essere tolleranti e aperti perchè non hanno niente contro l'omosessualità, ma veramente niente eh, anzi, hanno tanti amici omosessuali, escono con loro il sabato sera, li invitano a cena e partono in vacanza? Poi però, sono i primi a dire che non si deve confondere tutto, che va bene amarsi, va bene camminare per strada mano nella mano, va bene vivere insieme...ma sposarsi no! Quante ne vogliono? Che cosa pretendono? Il matrimonio serve per fondare una famiglia e avere figli. Mica possiamo sconvolgere così le regole della nostra società.
Il matrimonio, con l'amore, c'entra poco, certo. Eppure tutto cambia quando ci si sposa. C'è la pensione di reversibilità e la possibilità di dire la sua quando il coniuge si trova in ospedale. C'è "l'obbligo reciproco di assistenza morale e materiale" e il diritto di parte alla "successione legittima del partner defunto" senza che ci si senta dire: ma lei chi è? è un membro della famiglia? quali sono i suoi rapporti con questa persona?
Il matrimonio, con l'amore, c'entra poco, certo. Eppure tutto cambia quando ci si sposa. E' un modo di dire: noi esistiamo in quanto coppia anche di fronte allo Stato. Perchè allora un omosessuale, solo perchè ama una persona del suo stesso sesso, dovrebbe rinunciare a condividere diritti e doveri e rendere così pubblico e realmente visibile il proprio amore?


La Jù.