IL MIO MIGLIORE AMICO

Il sorriso può parlare. Può segnare l'inizio di una vita. Può farti conoscere un amico. E può accompagnarti nell'ultimo istante.
Il nonno si girò, mi sorrise e poi se ne andò il giorno dopo. Decise di sorridere morendo e io, da quel giorno, ho deciso di vivere sorridendo.
Adesso ha senso. In quel momento, furono lacrime e solitudine. Aiutarono una ragazza a crescere, nel ricordo della serenità con la quale si può lasciare la vita, ma solo oggi l'ho capito davvero.
Tante volte ho sentito dire che la morte non può dividere realmente. Quel giorno la incontrai per la seconda volta e smise di farmi così paura. Non ho mai capito perchè, forse accadrà domani, un altro giorno. Ora non me lo chiedo.
So che mi portò via il mio migliore amico, la persona con cui giocavo, ridevo, piangevo, la persona che mi aveva accompagnato alla scoperta del mondo. Il nonno mi ha insegnato a dare amore con semplicità.
Era magico: riusciva a comunicare senza troppe parole. Era un uomo distinto e rassicurante, con quel suo fisico asciutto e quel suo fare d'altri tempi. Era conosciuto per la sua storia sulla Seconda Guerra Mondiale e i modi cordiali e raffinati.
Alle medie dipinsi un acquerello: io e il nonno. Il nonno, io e il nostro rapporto. Lui l'avevo affidato alla carta, a pennellate morbide: volevo che la trasparenza rendesse l'idea della sua personalità. Le nostre espressioni non si vedono, ma avevo immaginato i miei occhi che guardavano il nonno con stupore: lui era il mio eroe.
Mi aveva accolto come un dono e si prendeva cura di me in modo speciale. Avvertivo che niente avrebbe potuto farmi del male quando eravamo insieme: lui riusciva a proteggermi facendomi sentire libera. Mi insegnava a diventare amica del mondo e a comunicare i miei sentimenti, ad avvertire la vita che pulsa nella terra e nel cielo, a dare vita alle cose che si amano.  Era un artista nel suo piccolo: era capace di trasformare un semplice ciocco di legno in un oggetto. Ho insistito per anni perchè mi costruisse un Pinocchio, ero sicura che sarebbe diventato un bambino vero. Mi raccontava delle cose che aveva costruito con il legno prima di partire per la Guerra, della passione che ci aveva messo e io immaginavo che tutte quelle cose potessero volare.
Forse il mio amore per l'arte nasce anche dai suoi insegnamenti e dal suo dono di rendere magiche le cose più semplici.
La mattina del giorno in cui morì mi ero alzata con l'idea di costruire una nave in bottiglia. Non avevo più tredici anni ma continuavo ad essere alla ricerca di un'identità artistica e di una personalità. I miei dipinti a volte risultavano un pò bizzarri, comunque i miei familiari mi assecondavano, forse perchè le mie idee balzane erano innocue e, in qualche modo, simpatiche. Chissà quante risate si facevano vedendomi sempre persa a inventare e a creare chissà quali nuovi quadri...
Per colazione bevvi un succo di frutta la cui bottiglia poi mi sarebbe servita per il mio ambizioso progetto. Mentre lo sorseggiavo mi resi conto che non avevo idea di come avrei costruito la nave e pensai di andare a trovare il nonno in ospedale per chiedergli "consigli tecnici". Dal letto d'ospedale, con uno sguardo interrogativo, mi spiegò come potessi fare per dare via al mio progetto e mi disse che aveva voglia di un gelato.
Questo è il mio ultimo momento di quotidianità con lui. Prezioso ricordo che vive di colori intensi e forti dentro di me.
Quel giorno, dopo pranzo, gli portai un gelato, lui mi accarezzò la mano, mi sorrise e mi salutò per sempre.
Grazie, nonno, per avermi aiutato ad amare la parte più spontanea e semplice della vita. Grazie per esserci semplicemente stato e per avermi saputo dimostrare, con quel tuo ultimo sorriso, che l'amore non ha confini e che va ben al di là di tutto ciò che è concreto.

Bacioni.

Jù.

VITA DA PROF

Chi sono gli insegnanti? E' difficile darne una definizione, perchè è difficile scegliere quale aspetto metterne in evidenza. Dal punto di vista statistico ne escono malissimo: sono tantissimi, presi tutti insieme costano parecchio, mentre ognuno di loro guadagna davvero poco. Nessuno di noi però è mai entrato in contatto con il cosidetto "corpo docente"; ognuno di noi è entrato in contatto con diversi, singoli professori, individui che ci hanno reso in gran parte quelli che siamo, aiutandoci, danneggiandoci, insegnandoci a pensare, a parlare, a comunicare. Hanno contribuito a formare il carattere che abbiamo, hanno molte volte dominato i nostri pensieri, acceso le nostre speranze, scatenato le nostre paure.
Se dovessi dire quali docenti sono stati importanti nella mia vita, ne dovrei nominare diversi. La maestra alle elementari, il sabato, ci insegnava a suonare la chitarra. La mattina, prima di iniziare a fare la lezione, ci faceva fare ginnastica in aula, mettendoci in fila e facendoci salire in piedi sui banchi, per poi saltare giù. Era severissima, dura, ma molto intelligente: sapeva farci amare lo studio e la lettura, ma aveva modi piuttosto spicci. Quando durante un'interrogazione mi misi a fare la spiritosa con un amico seduto al primo banco, mi diede uno scappellotto sulla nuca e mi mandò fuori dall'aula; se qualcuno lo facesse oggi a mio figlio, probabilmente penserei alla denuncia, quantomeno protesterei con la preside, ma non posso negare che allora compresi che c'è il momento per scherzare e il momento per essere seri.
Alle medie la prof di Italiano era temutissima. Entrava in classe senza dire una parola, si sedeva in cattedra ed estraeva i nomi degli interrogati da un sacchetto della tombola.
Quando si infuriava urlava "Che Dio vi fulmini!", ma poi ingoiava la risata che le saliva da dentro. Anche lei era brava, e alla fine ne ho un buon ricordo, anche se all'epoca mi terrorizzava.
Quelli del liceo li ricordo tutti. Al Liceo la prof di Diritto era rigorosissima, non concedeva nulla, e ci costringeva ad affrontare la realtà per quella che era: chi si lasciava andare anche solo un attimo a non pensare veniva immediatamente richiamato alla concentrazione. La rispettavamo.
Con la professoressa di Lettere siamo ancora molto amiche, le devo moltissimo: ci ascoltava, scherzava con noi, ci faceva amare il pensiero e la storia del pensiero, sosteneva gli sforzi che facevamo per essere diversi dagli altri. A ridere era fortissima e piangeva quasi come Alessandra Amoroso.
Con quello di Matematica, al liceo, litigavamo e ci confrontavamo, spesso a casa mi divertivo a pensare come glielo avrei comunicato, il giorno dopo, che secondo me aveva sbagliato tutto (cosa poi, naturalmente, non vera). La professoressa di Chimica vestiva il camice come quello dei bidelli, lo faceva per non sporcarsi col gesso. Ci fece capire che noi non siamo solo la lingua che parliamo. Il prof di Ginnastica avrà avuto poco più di trent'anni: era un amico, con lui giocavamo a pallavolo, parlavamo di politica, di cose serie, mangiavamo la pizza insieme. Quello di Musica era stranissimo, un genio: si rifiutava di segnare un confine tra i suoni e le idee, delle sue lezioni riuscivo a comprendere poco, ma quel poco mi faceva intravedere la filosofia dietro la musica.
I professori però non segnano solo in positivo la nostra vita. Io andavo bene, me la cavavo più o meno in tutto, ma ho visto prof sbagliare completamente giudizio su ragazzi che dopo si sono fatti largo alla grande nella vita. Alcune compagne sono state bocciate perchè non sono state comprese, si sono ritirate perchè non erano state stimolate a dovere o perchè si erano lasciate affogare in problemi che allora sembravano enormi, ma che oggi sappiamo essere risolvibili. I professori sono persone che hanno fatto la nostra vita, che ci hanno formato. Come facciamo a metterli tutti insieme e tirare una media del loro rendimento, del loro costo, del loro status? Come facciamo a valutare la categoria nel suo insieme?
La professione del docente è unica. Il maestro, il professore, hanno in mano le sorti degli individui, e quindi quelle del mondo intero.

Bacioni!

Jù.

ALCUNE PAROLE

La professoressa di Lettere entrò in classe il primo giorno di scuola e ci disse: " Iniziamo subito la lezione, perchè il tempo è l'unica cosa che nessuno potrà mai restituirvi".
Il professore di Filosofia un giorno terminò la lezione dicendo: " Domani vi spiegherò Feuerbach. Feuerbach sostiene che non è stato Dio a creare l'uomo, ma l'uomo a creare Dio".
La prof di Latino, in quinta liceo, mi chiamò a sorpresa alla cattedra e mi interrogò: " Brava, perchè non eri tanto preparata, ma ti sei buttatta, e il coraggio alle volte fa buona parte del lavoro".
Alle medie io e un compagno di classe ci prendemmo a botte per una cosa da poco, ci divise la bidella. Ero mortificata, la professoressa di Matematica (in genere piuttosto fredda e distaccata) mi prese da parte e mi tranquillizzò: "Jussin, non ti preoccupare. Tu ti preoccupi sempre troppo".
Che valore hanno questi ricordi? Che importanza hanno avuto nella mia vita questi episodi, queste parole, questi insegnamenti, questi concetti? Il valore, per me, è inestimabile. Non esiste calcolo, non esiste rapporto numerico, non esiste stipendio o compenso che potrebbe pareggiare quanto mi è stato dato queste e tante altre volte.
Non esiste un valore della scuola. O meglio, "è uguale ad infinito" direbbe una prof.
Chi forma un uomo, o una donna, forma l'intera società.
La scuola, inoltre, non è solo studio. I miei compagni di classe sono tuttora miei amici e con i miei professori mi sento ancora oggi. La scuola è esperienza: amicizia, amore, dolore, gioia, successo e fallimento. La scuola funzionerà sempre, anche se non funziona, perchè non è fatta solo da quello che possiamo soppesare, ma anche da tutto quello per cui non esiste unità di misura.
E' fatta, cioè, dalle singole persone.
Se dovessi usare una sola parola per indicare quello che ritengo di aver imparato dalla scuola, direi che ho imparato a concentrarmi.
L'essenza stessa della concentrazione, la capacità di isolare qualcosa dal contesto e leggerlo, studiarlo, ricordarlo, credo si impari alle elementari. Per essere precisi, sono convinta che all'asilo si impari a stare con gli altri, a seguire gli stimoli e a mettere a frutto un metodo, rispettando le regole che la convivenza impone. E' invece alle elementari che ci si incuriosisce, che ci si appassiona davanti alle cose che non si conoscono, ed è lì che si impara a gustare il tempo passato sui libri. Se non ami lo studio alle elementari, è probabile che l'opportunità di appassionarti a esso ti si ripresenti solo all'università.
Alle medie credo di aver imparato a concentrarmi nonostante. Alle medie si impara a concentrarsi nonostante tutto il rumore che c'è intorno, nonostante i compagni che ci distraggono, nonostante gli interessi nuovi, le nuove esigenze e i nuovi ambienti che ci confondono (e però arricchiscono) un adolescente. Alle medie ho scoperto di essere diversa da quello che ero, e riuscire a concentrarsi in un momento come quello diventa un merito da Guinness. Se esci viva dalle medie, il più è fatto.
Al liceo se sei fortunata impari a concentrarti su quello che più ami, su quello che più ti interessa, ed è lì che cominci a mettere in relazione la concentrazione con un obiettivo, dando vita e alimentando una passione. Al liceo ho scoperto che i secchioni non si godono la vita, ma che non se la godono neanche quelli che non studiano. Al liceo ho capito che leggere è un piacere e che non serve (solo) a prendere un bel voto, ma a vivere meglio, a comprendere l'esistente, a immaginare quello che (ancora) non si conosce.
All'univeristà non lo so, ci sono andata solo per pochi mesi però forse lì impari a concentrarti da sola, rinunciando alla rete di protezione del gruppo, a quella struttura che fornisce sostegno e ospitalità a ognuno di noi ma che ci abbandona di colpo una volta letti i quadri della maturità.
A scuola ho imparato la fedeltà al gruppo. L'ho imparata anche facendo sport, certo, l'ho imparata grazie alla mia famiglia, ma l'ho imparata anche a scuola. Gli amici di scuola non ti tradiscono, le regole si rispettano, le idee valgono più della convenienza, e tutto ciò di irrituale che capita di fare con qualcuno del gruppo va nascosto a chi del gruppo non fa parte.
Che valore ha avuto per me la gita in Provenza? E quella di Trieste? Che valore dare alla notte infinita che ci ha portato alla mattina in cui sono stati esposti i quadri della maturità? E alla festa nella notte in cui l'Italia vinse i Mondiali? La fila per la focaccia al bar e il pullman fino a casa, che valore hanno? Il concerto dei Nomadi, le vacanze in montagna, le domeniche a studiare insieme, che valore hanno? Anche queste esperienze hanno un valore infinito, e non per merito dei professori: anzi, molti di questi ricordi nascono da trasgressioni ai divieti da loro posti o alle regole da loro incarnate.
Ognuno di noi, li abbia amati o no, ha condiviso gran parte dei momenti importanti della propria vita con la scuola, o meglio con i compagni di scuola. I rapporti che si formano a scuola sono eterni, perchè in quegli anni tutto sembra eterno, fondamentale, inevitabile.
Eppure le prove che si superano a scuola, viste col senno di poi, non hanno nulla di particolare. Un amore andato male, una regola infranta, un giuramento rispettato: i legami che si formano tra i banchi e nei corridoi, le emozioni che si vivono, le paure che si combattono, analizzati freddamente a distanza di anni sono poca cosa, e visti con un pò di cinismo sono uguali per tutti.Vissuto all'epoca di scuola, invece, ogni avvenimento è unico, importante, epico, fondamentale e ricco di implicazioni e significati che dureranno per tutta la vita che verrà. Sono convinta che il valore di questi episodi sia effettivamente quello che si dà nel momento in cui vengono vissuti.

Bacioni.

Jù.