PAROLE.

365 pagine immacolate, tutte da scrivere e pasticciare. Con foto, appunti, post it, idee e scarabocchi.
La nuova casa dove andrò ad abitare io me la immagino così: come una grande agenda o un diario che aspetta una storia da raccontare. Da quali parole cominciamo? Il cambiamento non sarà facile e bisogna partire attrezzati.
Ho scritto così un elenchino di verbi-nomi-aggettivi per affrontare i prossimi 12 mesi.
Il primo che mi è venuto è LEGGEREZZA, forse perchè sono un segno di terra ma ho una tendenza innata a sfidare la vita in assenza di gravità. E poi perchè quando l'atmosfera si fa densa è necessario togliere peso e guardare le cose dall'alto, dove la prospettiva è più ampia e i problemi invalicabili ti appaiono cose da niente nella visione d'insieme.
Poi ho scelto PICCOLO perchè la bellezza quasi sempre è nei dettagli e sono stufa di tutto ciò che è mega, extra, e-sa-ge-rato. Le multisale dove danno solo blockbuster lasciando morire le meravigliose mini-sale da film d"essai, i menu XL dei fast food che ti obbligano a mangiare anche quando non hai più fame, i Suv che, nel delirio quotidiano del parcheggio che-non-si-trova, occupano almeno un posto e mezzo e stanno sempre in seconda fila. La terza parola viene di conseguenza: MISURA. Intesa non solo come opposto di "eccesso", ma anche come equilibrio, antidoto a un mondo che è tutto sbilanciato. Dove c'è chi lavora troppo e chi niente, che è straricco e chi cade in miseria. In Italia il 10 per cento della popolazione detiene più del 40 per cento della ricchezza totale, ha rivelato di recente Bankitalia, cioè dieci Paperoni posseggono un patrimonio che vale tutto insieme quello di tre milioni di italiani più poveri. Pazzesco. Per questo non posso fare a meno del vocabolo: OPPORTUNITA'. Senza la "possibilità concreta" di realizzare i propri sogni, il talento non basta e la meritocrazia resta un concetto vuoto.
A ruota arrivano INVETTIVA e OTTIMISMO perchè chi si deprime e non s'ingegna per stare dietro a una realtà che cambia, purtroppo non va da nessuna parte. I verbi che adotto sono FARE e TOCCARE. Fare in opposizione ad Avere: gli oggetti si accumulano e poi si buttano, le esperienze invece si possono stoccare in un magazzino interiore che non ha confini e crea una ricchezza in continua evoluzione. Toccare perchè è bello sporcarsi le mani, uscire dagli uffici e riscoprire la manualità. Una cosa che mi ha fatto tornare bambina. Toccare anche in opposizione a digitare, perchè internet e i social network hanno sì accorciato le distanze, ma ci hanno fatto perdere l'odore, il calore, le voci delle persone. Ogni volta che vedo un uomo e una donna seduti allo stesso tavolo che dialogano più con lo smartphone che tra di loro, mi viene da pensare che stiamo sbagliando qualcosa.
Concludo con un termine un pò fuori moda: RELAZIONI. Familiari, amicali, sentimentali.
Un lettore qualche giorno fa mi ha scritto: "Vivo a Milano da 20 anni, ma non è più la stessa cosa, me ne vorrei andare. La gente è sempre stressata, non ha più tempo per gli altri, non fa più l'amore." Vero.
A furia di correre ci stiamo perdendo il meglio. Lasciamo che il cuore si riprenda i suoi spazi. E facciamo di più l'amore.
Buon trasloco a me!
E Bacioni a voi!

Jù.

SUPERMARIO NON BASTA

In fondo, promettere di restituire l'Imu in contanti, agli sportelli postali o per bonifico, non era che proemettere ai cittadini soldi in cambio di voti: la più vecchia, scontata, prevedibile via della propaganda elettorale. Eppure eravamo tutti lì, ancora una volta dopo quasi vent'anni, a commentare l'ennesima promessa del cavalier Silvio Berlusconi. L'asta dei buoni propositi arriva puntuale una domenica di febbraio, davanti a una platea urlante di fan, giornalisti, fotografi e politici devoti. Poche parole: "Rimborseremo l'Imu". Ed è subito televendita. Noi, fiaccati da settimane di bombardamento elettorale, non riuscivamo più a distinguere un programma dall'altro, un candidato dall'altro, una promessa dall'altra. Però lui, si.
Silvio lo riconosci fra mille, con l'aria da piazzista di pentole e il sorrisone a 56 denti, mascherone e capelli mocassino.
Sa bene che non potrà mai ridarci indietro quei soldi, la tassa sulla casa, odiosa e iniqua perchè colpisce indiscriminata giovani e vecchi, ricchi e poveri. Una tassa, è bene ricordarlo, necessaria per tappare un buco provocato, fra l'altro, anche dall'abolizione dell'Ici sui redditi medio-alti, decisa dall'ultimo governo Berlusconi. L'Imu non poteva essere rimborsata nei tempi (trenta giorni) e nei modi( contanti) annunciati dal leader del Pdl per molte ragioni, fra le quali la mancanza di copertura finanziaria certa e il caos del federalismo fiscale che provocherebbe la rivolta dei Comuni. Ma, soprattutto, perchè queste elzioni non le ha vinte Berlusconi, anzi non le ha vinte nessuno.
Ecco allora la vera forza della promessa di Silvio: la sua totale, scanzonata gratuità. Nessuna questa volta ha potuto rimproverargli di aver tradito l'ennesima promessa. Ma lo scopo del venditore di Arcore è comunque stato raggiunto: strilli dei tg, titoli dei giornali, controllo dell'agenda elettorale, presa sugli elettori delusi e traditi. Mettiamoci pure l'invasione mediatica permanente e l'acquisto di Balotelli - altro che Monti, è stato lui l'unico vero Supermario nella fervida comunicazione prepolitica berlusconiana - e l'omino dei sogni era di nuovo qui tra noi, con una sfilza di sondaggi in mano.
Noi elettori, davanti alla tv siamo tornati bambini e abbiamo cercato il cesto dei popcorn di fronte all'ultima delusione, ma stavolta siamo davvero stufi.
L'Italia dei sogni è andata a picco, l'Italia dei sogni non esiste più.
Chiedetelo ai ragazzi disoccupati e senza futuro, ai cervelli fuggiti, agli operai in presidio. Alle mamme in bilico fra scuole fatiscenti e spese invalicabili.
Caro Silvio ( e tutti gli altri ) smetti di promettere, gli italiani sono diventati grandi.

Jù.

GRAZIE DI TUTTO

Ho ventisei anni e sono abbastanza felice. Non scrivo dunque perchè sono insodisfatta, ma perchè avevo un fidanzato stupendo, di appena due anni più vecchio di me. Una leucemia linfatica cronica me l'ha portato via prima delle vacanze estive e da allora la mia vita è cambiata.
Grazie a lui ho imparato ad amare i Beatles (un pò meno i Rolling Stone), Green Day e il mio prossimo. Mi ha insegnato a stare bene in mezzo alla gente, a portare rispetto ai più deboli e a non soffrire per la sordità e la cecità del mondo nei confronti di noi sensibili.
Ha lavorato in fabbrica, nei porti, sulle strade sotto il sole, ha amato profondamente la vita, ha curato sua madre e, già malato, ha donato parte dei suoi risparmi alla Oxfam Italia. Poco prima di morire si è chinato su di me e mi ha sussurrato nell'orecchio: " Grazie di tutto. Non mollare mai, sei in gamba ed è stato un onore per me averti come fidanzata ".
Mentre scrivo queste cose ho gli occhi commossi, ma il cuore sorride. E' stata troppo dura da mandare giù, è stato un dolore estermo e non ero preparata. A ventisei anni conservo ancora il potere di turbarmi, persino in un'epoca come la nostra che ha trasformato le emozioni in un genere televisivo.
Qualche anno fa, e ne avevo già venti, non parlavo volentieri del mio fidanzato con nessuno, nemmeno con me. Negavo inconsciamente che fosse morto, nascondendo la sua foto in un cassetto. Se ora riesco addirittura a scriverne su un blog è perchè ho accettato il mio dolore e ho perdonato tutti. Lui per essersene andato e l'universo per esserselo preso: a diciannove anni.
Era biondo, sbadato, emotivo come me. Era altruista e disponibile con tutti, un termosifone sempre acceso a temperatura costante, come io vorrei essere e non sono.
Se fosse sopravvisuto al male che lo portò via durante la primavera, oggi sarebbe probabilmente un muratore intelligente.
Come mai un ragazzo così buono se n'è andato così in fretta? Non ha lasciato nel nido un pulcino spaurito, ma una ragazza alla quale ha fatto in tempo a insegnare ad amare il prossimo, i Green Day e i Beatles: l'essenziale, insomma.
Eppure la morte precoce di un ragazzo rimane un'ingiustizia inconcepibile. Mi salva la consapevolezza che questa vita sia solo un corso di addestramento. Da affrontare col sorriso sulle labbra, se si può. Ma la vera goduria deve essere altrove.
Noi siamo qui per prepararci. Però non ci troviamo tutti allo stesso livello. Alcuni sono più avanti col programma e hanno bisogno di meno tempo per prendere il tagliando e spiccare il volo. A chi è già un angelo da giovane non serve diventare anziano.
Non sempre, almeno, altrimenti si dovrebbe concludere che solo i cattivi invecchiano e non è vero.
Mettiamola così: ciascuno ha un progetto da compiere, in questa vita, e il mio ex fidanzato ha esaurito il suo più rapidamente di altri. Perchè era più breve. O perchè era più bravo.
Rimango io, con un carico di ricordi che, per fortuna, è superiore ai rimpianti.
Mi è stato detto che l'ultimo gesto che il mio ex fidanzato compì, la notte in cui perse definitivamente conoscenza, fu di rimboccarmi la coperta e sistemarmi il cuscino dietro la testa sulla poltrona dove dormivo. E sussurarmi quelle parole meravigliose.
Lo ricordo così, nell'atto di amarmi e benedirmi per l'ultima volta. E cerco di esserne degna, senza retorica e senza paura.
Per istanti lunghissimi ho ripercorso la mia vita, alla ricerca dei segnali che mi ero rifiutata di cogliere.
I medici che sorreggevano sua madre per le ascelle accanto alla porta. L'urlo di sua sorella - " Cosa hanno fatto a mio fratello?" E poi: le continue allusioni alla "disgrazia", certi silenzi umidi, l'odio per gli ospedali.
Mi sono fermata a fissare il soffitto buio ieri notte e una risposta è sgorgata nitida.
Sapevo da sempre come era morto, ma avevo deciso da subito di non volerlo sapere. Sarebbe stato troppo. E forse lo è anche adesso.
Nel corso degli anni il rifiuto della verità si era esteso a tutto il resto. Avevo aderito ai pensieri come una seconda pelle, diventando il mio modo di abitare la vita senza viverla.
Succede a chi come me ospita Belfagor nello stomaco. Pur di non fare i conti con la realtà preferiamo convivere con la finzione, spacciando per autentiche le ricostruzioni ritoccate e distorte su cui basiamo la nostra visione del mondo.
Per rassicurarci nei nostri pregiudizi, leggiamo e ascoltiamo solo chi la pensa come noi. E ci lasciamo cullare la mente da storie fasuelle e versioni tranquillizanti.
L'intuizione ci rivela di continuo chi siamo. Ma restiamo insensibili alla voce degli dei, coprendola con il ticchettio dei pensieri e il frastuono delle emozioni. Preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire, per non guarire. Perchè altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere: completamente vivi.
Per la prima volta dopo otto anni mi sono rituffata dentro di lui. Ho sentito il suo amore per me ed è stata una scossa che mi ha fatto tremare. Ho seguito il peregrinare della sua angoscia da un medico all'altro. Ho sperato e mi sono disperata con lui. Fino all'ultima alba quando mi ero lasciata convincere a tornare a dormire e avevo ceduto a un sonno che non mi sarei mai più perdonata.
Mi ero ritrovata con un dolore accanto e un deserto dentro. A volte sono schiantata. Poi mi sono issata questo dolore sulle spalle e ho ripreso il cammino. Inciampando in troppe buche e sbagliando itinerari, scarpe, compagni di viaggio. Ma in qualche modo sono riuscita a mettermi in salvo.
Mi sono voluta bene.
Il pensiero di Jò mi procura ancora dei fremiti di rabbia mescolati a una tenerezza che sconfina nella pena.
Cos'avrà pensato mentre sentiva il cuore rallentare?
Forse dovrei liberarmi dal piombo che ho sul cuore, mandargli tutto il mio amore e lasciarlo finalmente andare.
Ieri notte ho chiuso gli occhi e ho visto Jò entrare nella stanza di una bimba addormentata. Si è seduto sul bordo del letto e mi ha guardato a lungo in silenzio. Mi ha rimboccato il lenzuolo nonostante il caldo, si è chinato su di me e ha sussurrato qualcosa.
Gli ho augurato buon viaggio, ho riaperto gli occhi e ho abbracciato Banana, l'orsacchiotto che mi ha regalato la mia fidanzata.

Jù.