QUELLO CHE LE DONNE NON DICONO

Forti nel senso di coraggiose, "muscolari", resistenti agli urti della vita. Solide. Ma forti anche nel senso di cool. Cioè veloci, "avanti", incoscienti, un pò pazze. Malate gravi di ottimismo. "Molecole d'acciaio, pistone, rabbia, guerra lampo e poesia", per dirla alla De Gregori. Figurarsi se si fanno abbattere dal pessimismo generale.
La mia vicina di casa, per esempio, ha 50 anni e un marito fiaccato dalla crisi. Fiaccato vero, perchè se ne sta proprio buttato sul divano in attesa che qualcosa arrivi. Hanno una piccola attività e i clienti scarseggiano e quando arrivano va a finire che non pagano. Per fortuna lavora lei. Per tutti e due. Anzi, per tutti e quattro. Perchè ha due figli che studiano, uno pure fuori sede, e sono soldi che se ne vanno. "Una fatica. Un'ansia a fine mese. Un pensiero che non ti dico. " Però, per festeggiare il suo mezzo secolo si è organizzata un mega-party in un locale, con quasi cento amici e musica anni Ottanta. Il conto è andato in rosso, "ma quante volte li compi 50 anni nella vita?". Poi c'è Monica, una lettrice fedelissima di questo blog, che mi ha scritto di essersi "innamorata come una ragazzina" di un uomo separato con due figli piccoli. Hanno una relazione mordi-e-fuggi, fatta di treni, tabella degli orari, tempo diviso tra i baci e la vita (quella vera, più fiatone che sospiri). Si definisce una "kamikaze del cuore", perchè ha messo in conto che potrà soffrire. E' già successo, succederà. Però non si risparmia, rischia. Il cuore è un muscolo che va allenato, alla felicità come al dolore. Il peggio che può capitargli è di restare immobile, battere solo per respirare. La pigrizia non paga in amore.
E poi c'è Anna Karenina, stakanovista delle emozioni, Sara, protagonista dell'ultimo libro della Comencini, cosi appassionata del suo lavoro da lasciare andare marito e figli, senza schivare i colpi di una scelta "contro natura". E ancora, le giovani donne indiane che scendono in piazza per fermare gli abusi. Occhi serrati e bocca chiusa, non gridano, non levano i pugni, non chiedono vendetta per le migliaia di coetanee e donne, vittime di violenza nell'indifferenza generale: semplicemente si raccolgono per le strade e nei cortei, per dire noi esistiamo, non vogliamo la guerra, vogliamo solo giustizia: "No rape", basta stupri.
E poi c'era Rita Levi Montalcini, tempra d'acciaio dentro un corpo da scricciolo. E' sopravvissuta alle leggi razziali, alle bombe, alla diffidenza di un ambiente quasi esclusivamente maschile quando, nel 36, si laureò in Medicina e poi si mise a fare ricerca, alla morte dell'amatissima sorella gemella. Nel suo curriculum, oltre al premio Nobel e alla carica di senatrice a vita, aveva una sfilza di lauree honoris causa, eppure si definiva "un'intelligenza mediocre". Ma con un "ottimismo epigenetico". Che, a occhio, è più ostinato di quello genetico-e-basta. E a me fa venire in mente l'erba matta. Provi a sradicarla, ma quella ricresce. "Spontanea, non organizzata, talvolta incolta, sempre intelligente".
Trovate un modo migliore per definire la forza delle donne?

Bacioni! 
Jù. 


DIVERSAMENTE GENITORI

Forse bisognerebbe partire da qui, da una definizione che ci è vagamente familiare, per sentirci rassicurati ( quando esiste un modo per dire qualcosa, allora vuol dire che c'è, che ha diritto di esistere) e non spaventarci troppo per questa nuova faccenda di cui tanto si parla: la famiglia gay.
Qualcosa che va oltre il coming out e il riconoscimento delle coppie di fatto, perchè travalica i confini e si appropria di un format della tradizione (la Famiglia, appunto, quella con la F maiuscola), rivoluzionandone gli addendi: non più lei + lui, ma lei + lei (o lui + lui) + un figlio. Un'ipotesi che tecnicamente presenta degli ostacoli, ma che di fatto esiste già.
Perchè poi, si sa, quando una cosa la desideri fortemente, un modo per ottenerla lo trovi sempre. Anche a costo di passare ore davanti al computer a caccia di un donatore di sperma o di chiedere a un amico etero di regalarti una sessione di sesso non protetto, o magari tentando la strada dell'utero in affitto, come usa tra le star. L'adozione meglio lasciarla stare, da noi non si può.
Per bypassare gli ostacoli burocratici si fa prima a fare da soli, andando in una clinica all'estero o ricorrendo a un sotterfugio, in pratica aggirando la legge. Una cosa che ci rende tutti più tranquilli- occhio non vede, coscienza non duole - ma non risolve il problema. Che rimane. E non serve far finta di niente.
Se centinaia di persone scendono in piazza in Francia per contestare o sostenere, in due schieramenti contrapposti e agguerritissimi, il progetto di legge che ammette i matrimoni gay (con tutti i prevedibili annessi e connessi, adozione compresa); se una sentenza della Cassazione in Italia afferma che "non ci sono certezze scientifiche o dati di esperienza" che provino il fatto che bambini allevati da genitori dello stesso sesso non possano avere una crescita equilibrata; se Jodie Foster, dopo anni di inattaccabile fairplay, sceglie la platea dei Golden globes per fare (finalmente) outing davanti ai due figli commossi, significa che la polvere sotto il tappeto è troppo alta. Dunque, è ora di togliere il tappeto. Anche se questo ci costringe a resettarci, ad aprire una nuova finestra nella camera ristretta delle nostre convinzioni, a fare piazza pulita di paure e pregiudizi. E pazienza se vanno a pallino anni e anni di psicanalisi, di complesso di Edipo e se ci toccherà ripensare i ruoli (il papà che detta le regole e la mamma che aiuta a trasgredirle), tanto i ruoli sono già in fase di smottamento per conto loro. Tanto più che la coppia etero non è di per sè garanzia di qualità.
Conosco genitori separati, con orientamenti sessuali standard, che hanno fatto polpette dell'equilibrio mentale dei propri figli tra battaglie legali e dispettucci da asilo nido.
Io credo che i figli vogliano sentirsi soprattutto voluti e amati. E se vivono in una casa in cui nella lavatrice finiscono solo reggiseni e niente boxer (o viceversa), in fondo, non è poi questa tragedia.

Bacioni.

Jù.