GRAZIE A DIO SONO MORTO

Ci vuole una fede che ha del soprannaturale per accettare che un qualsiasi giorno di maggio 24 persone muoiano come topi schiacciati dalle macerie e inghiottite dalla terra che d'improvviso impazzisce.
Certo è che pensiamo pochissimo, e sempre troppo tardi, a quanto siamo in balia della natura ogni giorno che spunta su questo mondo che letteralmente crolla in pezzi. 24 persone esattamente come i nostri figli, i nostri mariti, i nostri genitori: e a noi, che questa sorte inaccettabile non è toccata per caso, resta lo sgomento di mille domande cui nessuno sa rispondere e una rabbia molto terrena che non può avere sfogo.
Nove giorni dopo la terrificante scossa del 20 maggio che ha squassato l'Emilia Romagna, mentre gli operai per primi tornavano nei capannoni per far ripartire le loro aziendine piccole e grandi, altre 100 scosse in un solo giorno hanno ribaltato le provincie di Parma, Reggio, Modena e anche Mantova e Bologna. Un disastro di distruzione che ci lascia attoniti. Chi, come me, non ha sentito sotto i piedi e nel cervello quelle scosse furenti, non credo capirà mai il terrore infinito che ti resta dentro, non arriverà al centro di quel dolore inconcepibile che dev'essere perdere d'un botto non dico un parente, ma anche "solo" la casa, il lavoro, le cose. Non ci si può dar pace nel vedere la propria casa disfatta, con il letto che penzola fuori dal buco che fino a pochi istanti prima era un balcone, e il palazzo a fianco invece integro e con i fiori ancora nei vasi. E' una scacchiera di morte e ingiustizia, uno sì e uno no, che non possiamo comprendere.
Ho visto la foto di una madre che, accucciata di fianco a un camion dei pompieri, stringeva al petto il figlio, come se su quel camion potessero partire verso una felicità impossibile, una normalità per sempre perduta. Ricordo che quando ci fu il terremoto a Bergamo qualche anno fa, mia madre era a casa con il gesso al braccio: noi studenti fummo evacuati dalle aule e io, mentre scendevo le scale antincedio con una paura maledetta, cercavo mia madre al cellulare.
"Ju, non è niente, come stai?". Mi disse che aveva sentito la scossa e che si era rifugiata sotto il tavolo della cucina, come aveva sentito in Tv che si doveva fare. Immaginando la scena, solo quella piccolissima scena senza conseguenze, mi venne da piangere. Vedere oggi i capannoni crollati come castelli di carte da gioco, le chiese sbriciolate, le abitazioni improvvisamente a cielo aperto mi fa un'impressione che va oltre la paura e la pietà.
Ci sono per ora 14.000 sfollati che hanno perduto tutto, o quasi. Una fiumana di gente che piatirà alloggio in alberghi prestati da imprenditori generosi ( ma ormai è estate, e per quanto ancora i terremotati saranno prefeiriti ai turisit?), persone che dormono su carrozze di treni giunte per l'emergenza, fortunate rispetto a chi non ha nemmeno una cuccetta, ma stipati in un vagone si può anche impazzire, contadini che non lasciano i propri campi dove hanno fattorie e animali e si accatastano dentro tende da campo fornite dalla protezione civile, ma in quelle tende non sei al campeggio, sei prigioniero. E così la vita diventa di prepotenza un inferno, e cambiano le prospettive e soprattutto le priorità. Bisogna sopravvivere, prima. Poi, trovare chissà dove la forza per ricominciare.
Nelle pieghe di tanto dolore, mi è venuto da pensare a quelli che stanno, se possibile peggio degli altri. Ho letto di malati di Alzheimer sfollati dalle case di cura, di anziani senza più fiato e sotto il sole su sdraio di tela, in attesa che i santi volontari si prendano cura di loro. Di neonati tolti dalle nursery, di madri incinte che lottano per rimanerlo. Ho visto un'umanità dolente cercare il senso che resta, eppure nelle loro parole registrate dai Tg ho avvertito prepotente l'orgoglio di farcela e di non essere sopraffatti. Forse quando capiti tra gli artigli della natura impazzita ti viene una forza paranormale. Io dico: è successo di tutto, è accaduto di peggio. Che lo Stato, non solo quegli angeli volontari, non perda un solo istante per aiutare i terremotati, non lesini denaro, non apra polemiche. Domani sarà già vergognosamente tardi.

Il Solito Enorme Bacione a Tutti.

La Jù.

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