CARA MAMMA, ADESSO REGALAMI LA FORZA

Cara mamma, ho una notizia per te, anche se forse non te l'aspettavi.
Tra noi due, quella complicata sono sempre stata io. Benchè nel nostro rapporto la "cattiva" sia tu, mentre io ho il ruolo di una figlia "moderna" (quindi sensibile e sperduta) che fa di tutto per ritrovare la secondogenita chiusa nel pianeta nebuloso della vita, questa è soltanto mezza verità.
Quello che in ventisei anni di amorevoli scontri ha imparato di più a cambiarsi e crescere, sono io. E' normale: quando due legni passano una buona parte della loro vita a fregarsi uno contro l'altro, prendono fuoco entrambi.
Bisogna andare indietro, a un pomeriggio di giochi finito male, poco prima che io all'improvviso diventassi quella marziana di cattivo umore che aveva un nome strano, il mio, ed entrava nei 13 e poi 14 anni, scompigliati fino ai 20. Una volta mi hai detto che avevo lo sguardo intenso; ti fissavo dritta negli occhi e non mi fidavo.
Quel giorno ti accusai di non so cosa. Tu rispondevi, come sempre, che il senso di colpa era un'invenzione inutile e pericolosa. Io ti indicaii un punto nel tuo corpo: "Ma non ce l'hai, una coscienza?!". Tu, con la massima naturalezza possibile, forse un filo arrogante, mi avevi risposto. "La coscienza non esiste. Se ci fosse, dove dovrebbe trovarsi? Qui? Li? Al posto del cuore? Dello stomaco? Indicamela". E quella discussione finì col silenzio brutale di chi è più forte, o vecchia, o saggia. Sentivo di aver fatto un errore terribile.
Sono poi passati sei, quasi sette anni di scazzi e fatiche e guai. Penso sia stato visibile il mio - e non solo mio - sforzo per aiutarmi a trovare la forza che mi salvasse da un grande spreco. Sembrava la tipica guerra tra generazioni. Non era soltanto questo. L'altra fatica, l'altra persona che veniva "salvata", non si poteva vedere. Era dentro di me, nascosta da qualche parte.
Mamma, quella domanda, "Ma non ce l'hai una coscienza", nel tempo mi ha cambiato. Non sono arrivata a quasi ventisette anni a credere in qualcosa d'infinito e in contatto con cieli e miracoli. Mi ha insegnato a rivolgermi a te meno con la testa e le sue ragioni raffinate e buone soltanto fino a un certo punto.
Credo che la guerra dentro di me ha cominciato ad attenuarsi anche perchè io, ad un certo punto, ho accettato il fatto che la mia coscienza esistesse, e non era niente di straordinario, ma una forma d'amore quotidiano, la sicurezza di un sangue che scorreva comune, una forza silenziosa.
Mamme e figlie, senza violenza, parlano comunque con le mani. Io dovevo ancora guadagnare il diritto alla mia forza.
All'inizio della mia adolescenza, non ero altro che buone intenzioni e belle parole. E alla mia domanda improvvisa e disperata, hai risposto quasi come una marziana sulla Terra, spaventata forse di essere scoperta, perchè non sapevi nemmeno tu dove fosse la tua, di coscienza.
Avevi ragione tu a volermi ficcare nella testa, a furia di disastri, che, anche se la testa è giusto che corra avanti, il cuore è più lento, è eterno e mai nuovo. Ha bisogno di scoprire, come fosse la prima volta, quello che è sempre stato, tra madre e figlia.
Le premesse, dentro di me, c'erano. Ma solo tu hai creato quel dislivello necessario perchè tutto cominciasse a fluire, dando la risposta all'interrogativo che non ti molla: che cosa ho sbagliato?
E' grazie a questo che il nostro legame esiste. Da quando ho smesso di abusare del pensiero e ho lasciato che a parlarti fosse quella cosa introvabile, la coscienza.
Grazie a te, sono cambiata. Mi hai aiutato a capire che, per raggiungere davvero le persone, devo usare meno la testa e di più il cuore. E' questo, forse, che vuol dire "avere una coscienza".

P.S. Se per un caso incredibile ci si ritrovasse nuovamente sulle stesse barricate dell'adolescenza, aspettati quindi meno parole e qualche calcio in più.
Ma col cuore, ovvio.

Buon compleanno Mammut,
ti voglio davvero bene.

Bacioni!

Ju. 


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