MIO PADRE

L'unica volta che mio padre mi ha portato con sè al lavoro è stata una sera tardi quando avevo sette anni e fame di supereroi.
Come tutti i bambini di quell'età credevo che di lì a un paio di settimane avrei imparato a volare e che i miei superpoteri sarebbero rimasti nascosti da qualche parte ancora per poco.
Ma quella sera avevo bisogno di un'arma vera perchè lui l'aveva messa così: "Se vieni con me andiamo in missione. Qualcuno ha lasciato la luce accesa in ufficio e il principale ha paura che ci siano dei ladri. Andiamo a vedere?"
Uno: mio padre non mi chiedeva MAI di andare solo con lui da nessuna parte.
Due: non credevo che avrebbero scelto come prima volta una missione a rischio della vita, dai...
Tre: quindi si voleva liberare di me.
Sì, voleva lasciarmi per forza a sciogliere in qualche cesta di carta, in fabbrica c'era un mostro a tre teste e mezzo travestito da mio fratello, il maestro Gigi mi aspettava al buio con un compito di matematica apposta per me...una serie di incubi riempirono i cinque minuti di silenzio in macchina fino al cancello grigio e tenebroso della fabbrica dove lui scompariva tutti i giorni.
Così mi ero portata l'unica arma che possedevo. Un cilindro di metallo dorato (placcato perchè se valeva qualcosa, me l'avrebbero di certo sequestrato) che stringevo in un pugno e che era sfuggito al suo controllo.
Quel cilindro scompariva nel mio pugno chiuso, come mio padre al lavoro. E non capendo a cosa potesse servire, gli avevo inventato una professione: sarebbe stato promosso da soprammobile a terribile arma mortale, perchè comunque, pesare pesava.
Accostò la macchina appena fuori l'insegna "Centex" e lo sfrigolio dei neon all'interno era già percepibile da fuori. Qualcuno doveva essersi intrufolato per forza, magari grazie all'aiuto di mio padre e adesso mi attendeva un'imboscata.
Perchè mia madre lo aveva permesso? Voleva disfarsi anche lei di me perchè avevo spinto Claudio Scolari giù dalle scale della scuola? Erano interrogativi importanti e mi facevano pensare a loro due mentre organizzavano il piano a letto, loro due, punto per punto, mentre io sognavo di salvare l'umanità e mio cugino perdeva la vita nello stesso sogno in un modo che preferisco non ricordare.
Fatto sta che entriamo e la mia manina si fa saltare quasi le falangi da quando stringeva quel maledetto cilindro che mi avrebbe salvato la vita. Il più grande di noi avanzò sicuro di sè e andò al quadro comandi, poi si fermò un secondo.
Si voltò e mi disse: "Ci facciamo una corsa?".
C'erano degli strani carrelli per portare i tessuti e se ci salivi su e qualcuno ti spingeva, potevi persino toccare i dieci all'ora. Ma non era la velocità il punto.
Mio padre non mi uccise quella sera e non c'era nessun ladro da colpire con un clindro dorato (che finì la sua missione nella tasca della mia giacca-a-vento-antiproiettile).
Pensai che, sì, c'erano tante tute blu appese e cappelli gialli su una parete e una macchina enorme di acciaio e odore di benzina o petrolio e macchie di grasso in alcuni punti sul pavimento, però, dai, si doveva proprio divertire a lavoro.
Solo quei camion là fuori...non riuscivo a capire.
A meno che non servissero per andare a recuperare gente che sfidasse sui carrelli mio padre.
Perchè mio papà, almeno quella sera- ne sono sicura- lì dentro, doveva essere il migliore.

Il solito Enorme Bacione a Tutti.

La Jù.

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